Notizie Notizie Italia Debito, Italia, BTP: no junk. Ma rimane piaga spesa interessi

Debito, Italia, BTP: no junk. Ma rimane piaga spesa interessi

22 Maggio 2023 12:08

Debito pubblico e BTP: rating junk di Moody’s per ora scongiurato, l’Italia e il governo Meloni possono (per ora) tirare un sospiro di sollievo.

La minaccia di un downgrade del rating sul debito è stata rimandata dalla stessa agenzia di valutazione.

Per ora il rating di Moody’s sui BTP e sul debito made in Italyrimane pari a “Baa3”, in area investment grade per un soffio, superiore alla vergogna “junk” di appena un gradino. Una buona notizia, nel breve termine, che tuttavia non scansa sui mercati internazionali l’ansia per i conti pubblici del nostro paese.

Lo spread BTP-Bund a 10 anni oggi non batte ciglio, continuando a viaggiare poco al di sopra della soglia di 180 punti base, a fronte di un rendimento dei BTP a 10 anni che oggi scende a metà giornata di oltre il 2%, oscillando a un livello attorno al 4,2%.

Per ora no junk ai BTP, ma con Bce è ansia spesa interessi

Il mancato downgrade non cambia tuttavia le condizioni e i numeri reali che descrivono il caso del debito italiano.

A tal proposito, un articolo pubblicato su Reuters qualche ora prima del mancato verdetto di Moody’s ha ricordato che “i tassi di interesse più elevati rendono più difficile sostenere la spesa per interessi legata ai più di 2 trilioni di euro debito governativo italiano” .

L’articolo spiega di fatto che “il tasso medio  dei titoli governativi domestici che sono stati emessi nel periodo compreso tra i mesi di gennaio e di aprile è schizzato al 3,41% dal valore quasi a zero del 2021, al record dal 2011″.

E questi sono dati riportati da Reuters che sono stati stilati dallo stesso ministero del Tesoro e dell’Economia.

Dagli stessi dati, è risultato inoltre che il conto della spesa per interessi che l’Italia paga su base annua è salito dal 3,6% del Pil del 2021 al 4,4% del Pil nel 2022.

La domanda è: cosa accadrà a questo punto, con la Bce di Christine Lagarde che non ha assolutamente intenzione di fermare la sua battaglia contro l’inflazione dell’area euro, e che è tornata proprio nelle ultime ore a rincarare la dose sui tassi?

Quanto la spesa per interessi che lo Stato italiano deve accollarsi inciderà sul Pil, fagocitando risorse che altrimenti potrebbero essere destinate a finanziare settori come la sanità e l’istruzione?

Il quadro non sembra destinato a migliorare, almeno per i prossimi anni: l’articolo di Reuters avverte infatti che è possibile che l’incidenza della spesa per interessi sul Pil, già superiore al 4%, non abbia ancora prezzato l’impatto pieno dei rialzi dei tassi che la Bce ha lanciato a partire dal luglio del 2022, pari a un ammontare complessivo di 375 punti base.

Tutto questo mentre gli analisti di Citi calcolano che ogni aumento dei tassi dei BTP pari a +100 punti base, si traduce in un rialzo dei costi di servizio del debito dello 0,5% del Pil dopo quattro anni.

Il che significa ancora che, a meno che non ci sia una serie improvvisa di tagli dei tassi di interesse, il costo di servizio del debito potrebbe rimanere oltre il 4% del Pil per anni”. Scippando, di conseguenza, risorse alla crescita.

Pericolo QT per i BTP. E per far scendere il debito…

Venerdì scorso 19 maggio, l’annuncio di Moody’s tanto paventato dai mercati non si è presentato.

L’Italia è riuscita così a schivare l’onta di una bocciatura del suo rating a “junk”, che avrebbe rischiato di allontanare gli investitori istituzionali dal debito italiano e dai BTP proprio nel momento in cui l’Italia deve ancora sperimentare del tutto cosa significa non beneficiare più degli acquisti dei suoi titoli di stato da parte della Bce.

Oltre ad alzare i tassi, l’Eurotower guidata da Christine Lagarde ha ufficialmente lanciato, infatti, nel mese di marzo, anche il piano di Quantitative Tightening, staccando praticamente la spina alla flebo che per tanti anni ha permesso ai BTP di rimanere a galla.

Lo scorso 18 aprile, un articolo del Sole 24 Ore ha fatto i conti in tasca allo Stato italiano, concentrandosi proprio sulla voce spesa per interessi.

E’ emerso che, sulla base del Def 2023, l’Italia spenderà per interessi sul debito il 4,1% del Pil nel 2024, dopo la breve tregua di quest’anno (3,7% grazie all’inflazione un po’ più leggera che riduce i costi dei titoli indicizzati), il 4,2% nel 2025 e il 4,5% nel 2026″.

“Tradotta in euro, la corsa della spesa suona così – ha spiegato Il Sole 24 Ore –  75,6 miliardi quest’anno, 85,2 il prossimo, 91,6 miliardi e 100,6 nei due anni successivi. Somma enorme, tanto più se confrontata con quelle che per esempio il bilancio dello Stato dedica all’istruzione (52,1 miliardi), alle politiche sociali e alla famiglia (60,7 miliardi), al lavoro (19,4 miliardi), allo sviluppo delle imprese (40,7 miliardi) o all’energia (20,5 miliardi)”.

Rimanendo al 2024, questo significa che la spesa per interessi pro-capite, ovvero “il costo delle cedole dei BTp vale 1.398,1 euro per ogni italiano, compresi i neonati (sempre meno numerosi, e anche questo è un problema per il debito)”.

Risultato: “sia in termini pro capite, sia in rapporto al Pil, la spesa per interessi italiana non conosce rivali in Europa e nel resto del mondo sviluppato”.

“Nel continente, oltre a noi solo la Francia spende più di mille euro a testa (1.245,2), e questo aiuta a spiegare la scelta dell’Eliseo di portare avanti la riforma delle pensioni nonostante le forti tensioni sociali anche se a Parigi il peso sia della previdenza (13,6% del Pil) sia del debito pubblico (111,6% del Pil) siano largamente inferiori a quelli di Roma”.

E ancora l’articolo di Reuters, anche, ha fatto qualche calcolo (riferimento ai calcoli di Breakingviews), mettendo in evidenza come, junk o no junk, i conti pubblici dell’Italia siano destinati a rimanere nel radar degli investitori per diversi anni a venire.

“Se il tasso di interesse medio sul debito pubblico e la crescita nominale (del Pil dell’Italia) dovessero aggirarsi attorno al 3% per i prossimi cinque anni, il paese potrebbe infatti non riuscire a ridurre il proprio carico fiscale a meno che non iniziasse a incassare un surplus”.

Ovvero, in base a quanto reso noto dagli analisti di Capital Economics, “se i tassi dei BTP a 10 anni si stabilizzassero attorno al 4,25%, all’incirca dove viaggiano oggi, l’Italia si troverebbe ad avere bisogno di un surplus primario, in media, superiore al 2% del Pil“per far scendere la mole del suo debito.

E “quel livello, che il governo italiano prevede di centrare nel 2026, è molto più alto rispetto a quell’avanzo primario che, nel periodo compreso tra il 1999 e il 2019, è stato in media pari all’1,8% del Pil”.