Notizie Notizie Italia Dalla Germania allarme tassi BTP con strette Bce: rischio rendimenti 10y fino al 6% a inizio 2023

Dalla Germania allarme tassi BTP con strette Bce: rischio rendimenti 10y fino al 6% a inizio 2023

8 Novembre 2022 12:54

BTP: fino a che punto, con i rialzi dei tassi della Bce destinati a continuare, i rendimenti dei titoli di stato italiani possono salire, facendo gonfiare le spese per interessi e mettendo così a rischio la sostenibilità del debito made in Italy?

TIM Meloni

Un calcolo sulle conseguenze che una carrellata di strette monetarie potrebbe avere sui tassi dei BTP a 10 anni, è stato presentato da Alvise Lennkh-Yunus, Executive Director della divisione dei rating sui debiti sovrani di Scope Ratings.

Nella nota “Euro area: higher, flatter yield curve intensifies debt sustainability challenge in coming years”. Ovvero: “Area euro: la curva dei rendimenti più alta e più piatta intensificherà nei prossimi anni la sfida della sostenibilità del debito”, Lennkh-Yunus mette in evidenza tutto il dilemma della Bce che, in tempi di inflazione galoppante, ha deciso di lanciare una sorta di WhateverItTakes per combattere la fiammata dei prezzi.

Whatever It Takes che potrebbe scatenare una recessione: e recessione che in realtà è stata già messa in conto dalle grandi istituzioni finanziarie e da diverse banche d’affari, nel bel mezzo del governo Meloni che, assediato dalle pressioni della Lega di Matteo Salvini, è alle prese con la formulazione della legge di bilancio (manovra per il 2023).

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Il grave problema, che riassume tutto il dilemma di Francoforte è che, contriariamente all’originale Whatever It Takes dell’ex presidente della Bce Mario Draghi, che salvò l’euro, il Whatever It Takes di Christine Lagarde rischia di scatenare una nuova crisi dei debiti sovrani nell’Eurozona.

Così si legge nel rapporto di Scope Ratings:  “Il rischio per la Bce è di provocare una crisi economica ancora più grave (rispetto a quella attuale) nel 2023 e, dunque, di far salire ulteriormente i costi di finanziamento dei governi. Per esempio – ed è questa la previsione che fa alzare le antenne a trader, investitori e strategist –  un tasso sui depositi della Bce al 3% farebbe salire probabilmente i tassi dei bond governativi italiani BTP fino a un livello attorno al 5,5%-6%, circostanze a cui potremmo assistere all’inizio dell’anno prossimo”.

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L’agenzia avverte che un tale fenomeno unito all’eventuale rialzo dei tassi di altri titoli di stato dell’Eurozona, “rappresenterebbe una grande sfida per quei governi che si stanno sforzando per cercare di stabilizzare i loro rispettivi debiti pubblici” e rischierebbe di “mettere sotto pressione la Bce, al punto da indurla a rallentare il passo, o perfino a fermare le sue strette monetarie”.

La Bce di Christine Lagarde ha annunciato il 27 ottobre scorso un nuovo maxi rialzo dei tassi pari a +75 punti base, dopo quello storico, il primo di quell’intensità dalla nascita dell’euro, dello scorso 8 settembre.

I tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali, sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi presso la banca centrale saranno innalzati rispettivamente al 2,00%, al 2,25% e all’1,50%. Il calcolo di Scope su tassi BTP fino al 6% parte dal presupposto che i tassi sui depositi vengano alzati dalla Bce fino al 3%, livello dunque doppio rispetto a quello attuale.

In gioco non ci sono però ‘solo’ l’Italia, i suoi BTP (di conseguenza anche le sue banche per la questione doom-loop) e la sostenibilità del suo debito pubblico. A rischiare, rimarca Alvise Lennkh-Yunus, è la sostenibilità del debito dell’intera area euro, in un momento in cui la Bce è impegnata al Whatever It Takes per sconfiggere l’inflazione del blocco e, di conseguenza, ad alzare ulteriormente i tassi.

Per evitare il worst case scenario di deficit e debiti fuori controllo, Scope Ratings lancia un monito: “I governi dell’area euro dovranno apportare aggiustamenti alle loro leggi di bilancio, tenendo conto delle spese di interessi (sul debito) più alte, in un momento in cui la Bce cerca di contenere l’inflazione”. In questo contesto, l’agenzia di rating sottolinea l’urgenza di avviare riforme che stimolino la crescita, affinché si riescano a sostenere i livelli elevati del debito pubblico”.

La premessa è che l’inflazione dell’area euro non tornerà al target della Bce neanche nei prossimi anni.

La crisi dell’offerta che è scoppiata quest’anno, e i conseguenti “shock commerciali porteranno l’inflazione a viaggiare ben al di sopra del target della Bce, pari al 2%, nel 2023-2024 – si legge nel report – Il risultato sarà un aumento ulteriore dei tassi di interesse, con la Bce che agirà per difendere la sua credibilità di banca centrale determinata a lottare contro l’inflazione. Tutto ciò si tradurrà in una spesa di interessi più elevata, che affiancherà un outlook debole sull’economia, impedendo così alle grandi economiche dell’area euro– Germania (AAA/Stable), Francia (AA/Stable), Italia (BBB+/Stable) e Spagna (A-/Stable) di ridurre in modo significativo, il prossimo anno, i loro debiti”.

Di conseguenza, “i rapporti debiti-Pil rimarranno vicini ai livelli rispettivi del 2022”.

Tra l’altro Scope Ratings sottolinea che, “affinché la politica monetaria riporti l’inflazione dell’area euro al 2%, sarà probabilmente necessaria una riduzione significativa della domanda complessiva, in quanto l’inflazione è stata provocata soprattutto da fattori legati all’offerta, e non da una crescita (dell’economia) più alta e dall’aumento dei salari”.  Ed è “improbabile che la Bce riesca a centrare il target del 2% senza lanciare un Quantitative Tightening, ovvero senza ridurre la quantità di bond governativi presenti nel suo bilancio“. E che sono frutto, aggiungiamo noi, di tutto quello shopping sfrenato di BPT & Co con cui la Bce prima di Mario Draghi poi di Christine Lagarde si è resa protagonista, attraverso i vari bazooka di Quantitative easing. I BTP parcheggiati nel bilancio della Bce rischiano così di essere scaricati, e di vedere ridotto ulteriormente il loro valore.

Bce messa alla prova da inflazione: rischio di una nuova crisi dei debiti sovrani

Alvise Lennkh-Yunus ricorda che “gli acquisti su larga scala di bond governativi (vedi BTP nel caso dell’Italia) lanciati dalla Bce negli ultimi anni hanno garantito la sostenibilità del debito pubblico nell’area euro, aiutando la banca centrale nei suoi sforzi, tesi ad aumentare l’inflazione al 2%, dopo tanti anni in cui l’inflazione ha viaggiato al di sotto del 2% (e in cui l’allarme, nel blocco, portava il nome di deflazione)”.

Ora – spiega l’esperto – questi obiettivi sono entrati in rotta di collisione. Il bisogno di frenare l’inflazione galoppante ha costretto la Bce, insieme alla maggior parte delle banche centrali, ad alzare i tassi“. Ma “ rialzi dei tassi aumentano i costi di finanziamento dei governi, facendo crescere così il rischio di una recessione”.

Guardando al futuro, “l’intensità dei prossimi rialzi dei tassi da parte della Bce dipenderanno dall’outlook sull’inflazione, dall’evoluzione dell’economia, inclusi i rischi più alti di una recessione, così come dalla politica monetaria che sarà perseguita da altre banche centrali, in modo cruciale dalla Federal Reserve“.

In ogni caso, “il nuovo contesto di inflazione elevata – prosegue la nota – metterà alla prova l’indipendenza della Bce e la sua abilità di stabilizzare i prezzi senza scatenare una crisi dei debiti sovrani“. (con i BTP e altri debiti sovrani che sono soggetti per l’appunto alla minaccia del Quantitative Tightening, per ora ancora non lanciato dalla banca centrale europea).

Boom inflazione, l’outlook sul 2023-2024. Cosa può fare la Bce per evitare il disastro

Visto che le strette della Bce dipenderanno dal trend dell’inflazione, Scope sottolinea che l’interrogativo è su fino a che punto “l’elevata inflazione, che ha accelerato il passo dalla fine del 2021, sia sorretta da fattori transitori o permanenti”.

A tal proposito, “molteplici sono i trend che avallano la view secondo cui l’inflazione potrebbe essere più alta per un periodo di tempo più lungo, e almeno al di sopra del 2% nel 2023-24. Tra questi vanno menzionati i cambiamenti e le interruzioni nelle catene dell’offerta provocati dalla pandemia (con la fase di reopening post lockdown); l’incertezza sulle politiche commerciali, unita all’espansione di commerci più nazionali che globali; i cambiamenti strutturali che stanno interessando il mercato dell’energia, così come la transizione green, l’aumento dei salari e le implicazioni di un conflitto prolungato in Ucraina”.

L’agenzia di rating tedesca crede che “l’inflazione headline potrebbe ben scendere nel 2023-24”, sebbene non ai livelli, anzi al livello, desiderato dalla Bce, dunque fino al 2%.

C’è il problema tuttavia dei “fattori che sono in qualche modo transitori, come i prezzi più alti dell’energia e dei beni alimentari, che hanno contribuito con un valore combinato di 6,7 punti percentuali  a far balzare l’inflazione annuale (dell’Eurozona, misurata dall’indice HICP) del 9,9%, nel mese di settembre. Aggiungendo i costi dei trasporti, che sono altamente correlati con i prezzi energetici e che hanno contribuito con altri 1,6 punti percentuali (al balzo dell’inflazione)”, emerge che “queste tre categorie hanno inciso sull’inflazione complessiva per l’84% circa”.

Dunque, la view è che “l’inflazione headline probabilmente scenderà nel corso del 2023-24, con i prezzi energetici che si stabilizzeranno, a causa delle forze di mercato o grazie all’intervento dei governi, così come per il rallentamento dell’attività economica provocato dai tassi di interesse più elevati alti”. Tuttavia, “più a lungo i fattori transitori dureranno, più l’inflazione core sarà rafforzata e, di conseguenza, sarà giustificata la necessità di procedere con ulteriori rialzi dei tassi di interesse, per diminuire la domanda”.

La Bce insomma rischia di provocare una forte crisi economica: ed è per questo che il compito di Lagarde & Co è di evitare che la battaglia contro l’inflazione scateni un hard landing in Europa.

Qui – ricorda Scope – vale la pena ricordare che la Bce è determinata non solo a mantenere la stabilità dei prezzi ma anche a evitare una frammentazione nella trasmissione della politica monetaria, confinando gli spread tra i titoli di stato dei diversi governi all’interno di soglie che non sono ufficiali” (nel caso dello spread BTP-Bund, è stato ripetuto per esempio più volte che la soglia pericolo per la Bce sarebbe rappresentata da 250 punti base: al momento lo spread viaggia a 211 punti base, a fronte di tassi sui BTP decennali al 4,45%”.

E’ possibile dunque che si arrivi a un compromesso – profetizza Scope – , con tassi più alti nella curva a breve, al fine di combattere l’inflazione, e con uno smobilizzo dei bond governativi solo molto graduale nella parte più lunga della curva e con interventi aggiuntivi, in caso di bisogno, volti a preservare la stabilità finanziaria. L’effetto combinato sarebbe una curva più alta e più piatta”.

Ma “questo fenomeno (di curva di rendimenti più piatta e con rendimenti più alti) conterebbe per le leggi di bilancio dei governi dell’area euro, visto che i tassi di interesse più alti amplificherebbero le sfide volte a garantire la sostenibilità del debito nei prossimi anni”.

Scope conclude prevedendo “tassi nominali di mercato ancora elevati o ancora più alti nel caso in cui la Bce decidesse di tollerare una inflazione più alta e smettesse di alzare i tassi, per esempio, a causa di un rallentamento del Pil più forte delle attese, nel primo semestre del 2023.”.

Viene infine messa in evidenza la richiesta crescente, tra i governi dell’area euro, di leggi di bilancio che rispondano maggiormente alle esigenze del welfare e garantiscano dunque un aumento delle pensioni, o che scommettano sull’aumento delle spese per la difesa, o che ancora spingano per la transizione energetica: tutte richieste che, secondo Scope Ratings, “complicano gli sforzi volti ad apportare aggiustamenti ai saldi primari”.

Dunque, “in queste circostanze – conclude la nota di Scope – la realizzazione di riforme tese a rafforzare la crescita sarebbe cruciale per garantire la sostenibilità del debito pubblico”.

Governo Meloni e la richiesta dello scostamento di bilancio di 9,1 mld

Certo non è di buon auspicio, per le finanze pubbliche italiane, la richiesta arrivata dal governo Meloni, che sarà votata alla Camera domani, mercoledì 9 novembre:

quella, rivolta al Parlamento, di uno scostamento di bilancio di 9,1 miliardi di euro per aiutare le famiglie e le imprese a far fronte al #caroenergia #carobollette.

La richiesta così recita:

Con la presente Relazione, sentita la Commissione europea, il Governo richiede l’autorizzazione al ricorso all’indebitamento nell’anno 2022 per l’utilizzo del margine di 9,1 miliardi di euro, quale differenza tra l’andamento tendenziale (5,1 per cento) e quello programmatico (confermato al 5,6 per cento) da destinare al finanziamento di interventi di contrasto agli effetti negativi dell’incremento dei prezzi dei prodotti energetici su famiglie, imprese ed enti, nonchè altre misure inerenti al settore dell’energia. I livelli massimi del saldo netto da finanziare del bilancio dello Stato, in termini di competenza e di cassa, saranno conseguentemente rideterminati in considerazione degli effetti delle misure che saranno adottate”.

Ancora, nel testo della richiesta del governo Meloni si legge che:

Il Governo chiede, rispetto al precedente quadro programmatico fissato nel Def 2022 e confermato con le successive relazioni al Parlamento, l’autorizzazione alla revisione degli obiettivi programmatici di indebitamento netto per un importo in termini percentuali di Pil pari a 0,6 per cento nel 2023, 0,4 per cento nel 2024 e 0,2 per cento del 2025. Il livello programmatico di indebitamento netto in rapporto al Pil è pari a 5,6 per cento nel 2022, 4,5 per cento nel 2023, 3,7 per cento nel 2024 e 3 per cento nel 2025, corrispondenti in termini strutturali al 6,1 per cento nel 2022, al 4,8 per cento nel 2023, al 4,2 per cento nel 2024 ed al 3,6 per cento nel 2025. Tali obiettivi comportano la disponibilità di un ammontare di risorse, rispetto alla previsione tendenziale, di oltre 21 miliardi di euro per il 2023 e di circa 2,4 miliardi di euro per il 2024. Queste risorse, con la prossima legge di bilancio, saranno destinate a misure dirette al rafforzamento del contrasto del caro energia per famiglie e imprese. Il livello del saldo netto da finanziare del bilancio dello Stato di competenza potrà aumentare fino a 206 miliardi di euro nell’anno 2023, 138,5 miliardi nel 2024 e 116,5 miliardi nel 2025. Il corrispondente livello del saldo netto da finanziare di cassa potrà aumentare fino a 261 miliardi di euro nell’anno 2023, 180,5 miliardi nel 2024 e 152,5 miliardi nel 2025. Il rapporto debito/Pil programmatico è fissato in 145,7 per cento per l’anno 2022, 144,6 per cento per l’anno 2023 142,3 per cento per l’anno 2024 e 141,2 per cento per l’anno 2025″.

Ieri, al termine della riunione dell’Eurogruppo, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha detto:

Tutti siamo preoccupati per il debito, però basta spiegare la situazione. E devo dire che con (il ministro tedesco delle Finanze) Lindner ci sono rapporti positivi. Naturalmente ognuno deve fare la propria parte. L’Italia deve farla e lo farà”.

Qualche ora prima il Commissario Ue agli Affari economici e monetari, Paolo Gentiloni, si era così espresso, in merito alla legge di bilancio del governo Meloni:

Confido nel fatto che ci sia un atteggiamento di grande cautela, come è giusto che sia per i paesi ad alto debito. Ovviamente cautela non significa non adottare le misure possibilmente mirate sulla sicurezza energetica. Noi abbiamo segnalato a tutti i paesi ad alto debito che a fronte di un atteggiamento di grande prudenza, possono esserci delle eccezioni per l`emergenza energetica, chiedendo che queste eccezioni siano più il possibile mirate”.

Gentiloni aggiungeva che “ci aspettiamo dall’Italia una proposta di bilancio entro un paio di settimane e di cui daremo una valutazione nel mese di dicembre. Ci attendiamo una proposta che tenga conto di questi orientamenti”. Dagli incontri con il ministro Giorgetti e con la premier Giorgia Meloni “non dubito che sia così”.

E più di qualcuno avrà commentato: speriamo che sia davvero così.