Notizie Notizie Italia Carige alla conta: Malacalza può far saltare il banco (di nuovo)

Carige alla conta: Malacalza può far saltare il banco (di nuovo)

7 Settembre 2019 18:04

Due settimane per scongiurare il peggio e a Banca Carige non resta che appellarsi ai piccoli soci. Ieri la banca ligure, sotto commissariamento da inizio 2019, ha avviato, in qualità di promotore, una sollecitazione di deleghe di voto con riguardo alla prossima Assemblea Straordinaria convocata per il 20 settembre 2019 chiamata ad approvare il maxi-aumento di capitale da 700 milioni di euro.

La soglia critica da raggiungere è il 20%, ossia livello minimo necessario perché l’assemblea sia validamente costituita. Il tutto senza sapere ancora quali saranno le mosse della famiglia Malacalza, che detiene circa il 27,6% del capitale e lo scorso dicembre con il suo voto negativo fece naufragare il tentativo di ricapitalizzazione.

La banca chiama all’adunata i soci

C’è ancora un grande punto interrogativo sulla presenza o meno di Malacalza all’assemblea del 20 settembre e l’intenzione al momento è quella di raggiungere il quorum del 20% a prescindere dalla sua presenza e poi puntare a far passare l’operazione di rafforzamento patrimoniale che necessita dei due terzi dei voti favorevoli. Stando a quanto riporta Il Sole 24 Ore, la costruzione di una maggioranza “alternativa” passa per il coinvolgimento degli altri soci, a partire dall’imprenditore Gabriele Volpi, secondo maggiore azionista con il 9,1% del capitale. Le ultime indiscrezioni stampa vedono Volpi disponibile ad approvare il progetto, anche se non è chiaro se parteciperà o meno all’aumento. Come lui anche il finanziere Raffaele Mincione (circa il 7%) e l’imprenditore Aldo Spinelli (circa l’1%). Sommando i tre si arriva già vicini al 18% di voti. Tra i favorevoli ci dovrebbe essere poi l’associazione dei piccoli azionisti guidata da Silvio De Fecondo e anche l’associazione degli ex dipendenti pensionati della banca.

Linea Maginot del 20% a portata di mano

I Commissari puntano a coinvolgere anche i piccoli azionisti che valgono circa il 40% del capitale. Superare la Linea Maginot del 20% appare quindi a portata di mano. Questo però non basta perchè a spostare gli equilibri in un senso o nel’altro sarà ancora una volta la decisione che prenderà Malacalza. Se la famiglia non si presenterà in assemblea lo sforzo di aggregare una maggioranza alternativa avrà successo; in alternativa, con Malacalza presente il 20 settembre e contrario all’aumento di capitale (o anche se si astiene), lo scenario cambia radicalmente con la necessità di trovare il voto favorevole del 55% del capitale per far passare il salvataggio di mercato. Quota impervia da raggiungere.

Malacalza resta la mina vagante 

Che farà quindi Malacalza? Difficile saperlo. Il Sole 24 Ore rimarca che fonti coinvolte nell’operazione sottolineano come la famiglia ligure non apprezzi le modalità del piano di salvataggio pubblico-privato, che vede il Fondo interbancario come pivot e Cassa Centrale Banca nel ruolo di partner privato. Le critiche, prosegue il quotidiano finanziario, riguarderebbero le condizioni – ritenute troppo favorevoli – offerte a Cassa Centrale, e di come, al contrario, alla famiglia ligure – che in questi anni ha investito più di 400 milioni di euro destinati a svalutarsi pesantemente – non siano state riservate condizioni analoghe nel quadro dell’aumento.

 

La mancata partecipazione all’assemblea avrebbe un doppio vantaggio: consentirebbe agli imprenditori di avere la mano libera in vista di possibili azioni legali e darebbe continuità alla banca, come i piccoli azionisti e tutto il territorio chiedono. Di contro non è escluso che un eventuale voto contrario dei Malacalza tra due settimane possa portare alla convocazione di una nuova assemblea, con l’ipotetico congelamento dei diritti di voto della famiglia stessa.

 

Se per Carige si concretizzare lo scenario peggiore, una sorta di Carigexit, per parafrasare la Brexit, e si arrivasse alla liquidazione coatta amministrativa, tra le conseguenze ci sarebbe la pesante zavorra che il Fondo interbancario per la tutela dei depositi dovrebbe accollarsi: un costo che secondo La Stampa sarebbe di 9 miliardi, da sostenere per proteggere i depositi sotto i 100 mila euro.