Banche, vola l’M&A 2025: +30%. Tutte le operazioni in corso

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Non è certo il 2007, anno dell’acquisizione di Abn Amro da parte di Rbs, Fortis e Santander, ma il 2025 sta dando molte soddisfazioni agli appassionati di risiko bancario. Secondo Mergermarket, il numero di fusioni e acquisizioni annunciate nel settore dei servizi finanziari europei dall’inizio del 2025 al 15 giugno è arrivato a 59 miliardi di euro, con un aumento del 30% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Segno che il settore è in gran fermento, in Italia, ma non solo. Ecco tutte le operazioni aperte che stanno tenendo col fiato sospeso migliaia di azionisti e favorendo, nel bene e nel male, il dibattito sulla fattibilità di un’unione bancaria europea
Le operazioni in itinere
Dalla Spagna all’Italia, passando per la Germania e la Francia, sono diverse le operazioni bancarie aperte. Oltre all’Opa ostile di Bbva in Spagna per Sabadell, il gruppo italiano Unicredit ha lanciato un’Opa su Bpm e ha acquisito una quota del gruppo tedesco Commerzbank in vista di una potenziale fusione. Sempre in Italia, Monte dei Paschi di Siena ha lanciato un’Ops su Mediobanca che a sua volta ha messo gli occhi su Generali. E Bper ha lanciato un Ops sulla Sondrio.
Parallelamente sono in corso altre operazioni concordate, quindi meno ostili, come la cessione della filiale polacca di Santander all’austriaca Erste, la cessione della portoghese Novo Banco al gruppo francese Bpce (holding Natixis), e l’accordo con cui Crédit Mutuel Alliance Fédérale integrerà la banca tedesca Oldenburgische Landesbank (OLB), finora di proprietà del fondo Apollo.
Il ruolo dell’Europa
Su alcune partite esiste un doppio livello di “controllo”. E, ad esempio, sia l’offerta pubblica di acquisto su Sabadell, sia l’assalto a Commerzbank, le due principali mosse del settore bancario, andranno avanti solo se le Autorità di regolamentazione europee prevarranno su quelle nazionali, creando un nuovo ambiente per future acquisizioni nel settore finanziario.
L’attuale risiko è nato infatti grazie a 4 fattori, di cui uno di matrice europea: bilanci sani delle banche (con capitale in eccesso per effettuare acquisizioni); la ripresa delle valutazioni del mercato azionario (che facilita il pagamento basato su azioni per le transazioni), la necessità di ottenere leva finanziaria per investire di più in tecnologia; e la simpatia degli enti regolatori per il consolidamento del settore al fine di creare gruppi più grandi in grado di resistere a una potenziale crisi finanziaria in futuro.
Maria Luís Albuquerque, Commissaria europea per i servizi finanziari, ha sottolineato che l’Europa ha bisogno di banche più grandi per competere con quelle degli Stati Uniti o della Cina.
Non a caso, nella classifica delle valutazioni di Borsa, la banca più grande dell’eurozona è Santander (con oltre 100 miliardi di euro) ma la principale banca statunitense, JP Morgan, vale sei volte di più.
Una scala dimensionale che l’Europa può raggiungere solo iniziando ad avviare serie integrazioni nazionali che possano moltiplicare le sinergie.
In mancanza di un’unione bancaria completa, chi fa “shopping” in un altro Paese spesso deve avere capitale, liquidità, tecnologia e infrastrutture separate. E lottare con la resistenza dei Governi, come nel caso Commerz-Unicredit.
In quest’ottica, dunque, il successo o il fallimento delle mosse ostili di Bbva e Unicredit sono fondamentali per determinare il futuro del settore in Europa. Prima di poter assistere a ipotetiche grandi alleanze tra Bnp e Bbva, o Santander e Société Générale, o Crédit Agricole e Intesa, sarà necessario assistere alla piena integrazione dei mercati bancari e dei capitali.
In generale, resta da concordare una garanzia comune dei depositi, che spezzerebbe l’attuale rapporto tra gli istituti e il debito sovrano dei rispettivi paesi. Tuttavia, i governi del Nord Europa sono stati tradizionalmente riluttanti ad abbracciare questa iniziativa, per timore di dover sostenere i costi di potenziali salvataggi nel Sud del continente.
Capitalizzazioni e sfide
Al momento la classifica per capitalizzazione vede al primo posto Hsbc con 180 miliardi, Santander con 104 miliardi, Unicredit con 86 miliardi, Ubs con 85 miliardi, Bnp Paribas con 84 miliardi, Intesa con 84 miliardi, Bbva con 75 miliardi. In area 50 miliardi seguono Barclays, Lloyds, Ing, CaixaBank, NatWest.
Secondo i dati preliminari di Dealogic per la prima metà del 2025, cinque delle prime sei posizioni nella classifica delle commissioni percepite dall’investment banking nell’area EMEA (Europa, Medio Oriente e Africa) sono occupate da giganti di Wall Street: Goldman Sachs, JPMorgan, Citi, Morgan Stanley e Bank of America. Solo la francese BNP Paribas si piazza al quarto posto. Dal settimo posto in poi compaiono Deutsche Bank, Barclays, HSBC e UBS (il gruppo che ha acquisito Credit Suisse due anni fa).
Negli ultimi decenni, istituzioni europee come Barclays, Deutsche Bank e Credit Suisse hanno tentato di conquistare una posizione significativa a Wall Street, in alcuni casi attraverso significative acquisizioni di banche d’investimento americane. Il fatto è che questi tentativi sono falliti almeno in parte, e la battaglia ora non è a New York, ma nella difesa del business delle banche d’investimento europee nel loro territorio, dove i giganti americani continuano a guadagnare terreno.