Notizie Valute e materie prime L’avversione al rischio spinge lo yen, ma è ancora presto per la fine del carry trade

L’avversione al rischio spinge lo yen, ma è ancora presto per la fine del carry trade

12 Novembre 2007 08:46

Anche l’Estremo Oriente si è accodato ai forti cali fatti registrare dalle borse del Vecchio Continente e da Wall Street. L’apertura dell’ottava non promette nulla di buono. A Tokyo, gli indici Nikkei e Topix hanno terminato le contrattazioni sui livelli minimi degli ultimi quindici mesi, il primo a quota 15.197,09 con un ribasso del 2,48%, il secondo a 1.456,40 in calo del 2,54%. Negativo il quadro generale delle altre piazze finanziarie asiatiche con cali superiori al 4% per l’Hang Seng di Hong Kong e per lo Shanghai Composite, di circa il 3% a Singapore, Mumbay e Taiwan.


Un sell-off arrivato nel momento in cui lo yen è tornato a premere con forza sul dollaro. Il cambio tra la valuta nordamericana e quella giapponese è sceso infatti ai minimi dal maggio dello scorso anno, a 110,69, incamerando un ribasso di oltre il 3% nel corso delle ultime tre sedute e di circa il 5,5% dai massimi relativi del mese di ottobre.


La ricomparsa in forze dell’avversione al rischio sui mercati ha rimesso al centro dell’attenzione il fenomeno del carry trade. Nuovamente la ricerca di attività finanziarie a minore rischio ha spinto verso la chiusura delle posizioni finanziate in yen. Eppure parlare di fine del fenomeno appare, ancora una volta, troppo avventato.
Il rialzo dello yen è infatti strettamente legato alla reazione negativa avuta dai mercati dopo l’arrivo di una nuova serie di notizie negative sul fronte del settore bancario. Venerdì scorso il quarto istituto di credito statunitense, Wachovia, ha reso note per rdite potenziali per titoli legati ai mutui per 1,7 miliardi di dollari mentre Bank of America e JpMorgan hanno iniziato a mettere le mani avanti verso il quarto trimestre anticipando la possibilità di riflessi negativi sui conti.
Contribuisce al rialzo dello yen contro il dollaro anche la debolezza della stessa valuta a stelle e strisce dopo le parole di Ben Bernanke il quale, sebbene non abbia parlato di recessione, ha fatto capire al mercato che si potrebbe avere qualche cosa di molto simile.


Al di là della debolezza del dollaro e delle fiammate di avversione al rischio, sembra però esserci poco altro che possa sostenere per davvero la moneta del Sol Levante. Il quadro macroeconomico giapponese non è ancora sufficientemente brillante anche se la Bank of Japan ha confermato, le previsioni di miglioramento della crescita e di aumento dell’inflazione per il 2008 mentre per il 2007 lo scenario è stato ritoccato in senso opposto. Il che vuol dire che per il momento di rialzi dei tassi in Giappone se ne parla ancora troppo poco. Il governatore della Bank of Japan Fukui ha ribadito l’intenzione di alzare i tassi di interesse appena le condizioni macroeconomiche lo renderanno possibile, ma sono proprio tali condizioni per il momento ad essere latitanti. Il punto debole, ancora una volta, sembra essere il consumo domestico che sebbene in miglioramento non è ancora sufficientemente forte da garantire un sostegno alla crescita nel caso si verifichi una contrazione netta delle esportazioni, ipotesi plausibile nel caso la frenata degli Stati Uniti prosegua con forza.


Finchè il traino dei consumi domestici non assumerà connotati di stabilità e forza sufficienti a permettere alle aziende di scaricare sui prezzi al consumo parte della crescita dei prezzi alla produzione, con conseguente aumento dell’inflazione, il rialzo dei tassi di interesse verrà rimandato dalla Banca centrale del Giappone. Non sarà quindi nella riunione di domani che la Bank of Japan agirà sui tassi, e probabilmente neanche nelle prossime occasioni che si presenteranno da qui a fine anno. Sarà necessario attendere i dati sulla crescita e sull’inflazione del nuovo anno per verificare se le previsioni di accelerazione saranno verificate in pieno.