Notizie Notizie Mondo Alert Morgan Stanley: con escalation guerra commerciale recessione globale tra tre trimestri

Alert Morgan Stanley: con escalation guerra commerciale recessione globale tra tre trimestri

3 Giugno 2019 11:19

L’escalation della guerra commerciale spaventa sempre di più non solo i mercati, ma anche tre tra i titani dell’alta finanza: Morgan Stanley, Jp Morgan e Goldman Sachs hanno davvero poca fiducia che, almeno nel breve termine, le tensioni esplose tra la Cina di Xi Jinping e l’America First di Donald Trump possano essere risolte.  Tutt’altro: la prima prevede una recessione globale nell’arco di tre trimestri, nel caso in cui Trump dovesse continuare ad attaccare i partner commerciali degli Stati Uniti. Insieme agli analisti di JP Morgan, anche quelli del colosso americano non credono inoltre che un accordo commerciale tra le controparti possa essere trovato nel corso dell’imminente summit del G20 in Giappone.

Tra l’altro, proprio il viceministro cinese del Commercio, Wang Shouwen, non ha confermato se un incontro tra Trump e Xi ci sarà davvero in occasione dell’evento, che si terrà alla fine di giugno. Il funzionario si è limitato a dire che la Cina invierà alcuni suoi rappresentanti al meeting.

Gli analisti di Morgan Stanley e JP Morgan, in particolare, sono dell’idea che, almeno nel breve termine, non ci sarà alcuna intesa tra le controparti. D’altronde, i toni si fanno sempre più minacciosi, e di certo non è d’aiuto (tutt’altro), la pubblicazione di una documentazione ufficiale da parte di Pechino, che vede la Cina accusare gli Stati Uniti di non essere un partner commerciale affidabile e di essersi tirati indietro di fronte alla presentazione di proposte pragmatiche.

Il white paper cinese diramato nelle ultime ore accusa l’amministrazione Trump anche  di essere ricorsa a misure di intimidazione e di coercizione.

Bloomberg riporta altri dettagli del documento, precisando che, “in base al white paper, le decisioni commerciali che sono state prese hanno provocato un danno grave all’economia americana, aumentando i costi di produzione, scatenando l’aumento dei prezzi e deteriorando la crescita e il tenore di vita dei cittadini, creando barriere alle esportazioni americane in Cina. In poche parole – si legge ancora – le tariffe non stanno aiutando ed è anzi prevedibile che gli ultimi aumenti di dazi doganali imposti dagli Usa contro la Cina, più che risolvere i problemi, peggioreranno le cose per entrambi i partner”.

In questo contesto James Sullivan, responsabile della divisione di ricerca sull’azionario Asia escluso il Giappone presso  JP Morgan rimane più che cauto:

“La mia view personale è che non ci sarà nessun accordo. Se guardate alla posizione assunta dagli Stati Uniti, i toni davvero molto, molto da falco, non provengono solo da parte del presidente (Trump) ma dall’intera amministrazione…Credo che sarà davvero molto difficile raggiungere una intesa nel breve termine”.

Della stessa idea Jonathan Garner, strategist dei mercati emergenti presso Morgan Stanley, secondo cui “appare sempre più probabile che non ci sarà nessun accordo”.

Ancora più preoccupante è l’alert lanciato da Morgan Stanley attraverso un report che è stato pubblicato qualche ora fa e la cui stesura fa capo alla view di Chetan Ahya, responsabile economista della banca di investimenti.

A suo avviso, “gli investitori stanno sottovalutando l’impatto potenziale (dell’escalation della guerra commerciale) sull’outlook macroeconomico globale”.

Morgan Stanley lancia allarme recessione globale

L’allarme recessione globale è forte, come emerge dall’articolo pubblicato sull’Economic Times, che riporta proprio lo studio di Morgan Stanley. Viene messo in evidenza l’atteggiamento degli investitori, che non sembrano rendersi conto del rischio di una recessione che finisca per espandersi a livello mondiale tra tre trimestri.

E non sembrano capirlo neanche dopo che Wall Street ha concluso il mese peggiore dell’anno. La condizione che renderebbe più probabile l’avvento della recessione globale sarebbe l’eventuale decisione di Donald Trump di alzare le tariffe, oltre a quelle su $200 miliardi di beni cinesi già portate dal 10% al 25%, su ulteriori prodotti made in China del valore di $300 miliardi.

Credete che una tale prognosi sia allarmista? Noi, in realtà, crediamo il contrario”. Secondo Ahya, infatti, “gli investitori non stanno scontando a pieno le conseguenze sulle spese in conto capitale e sul loro previsto calo, fattore che potrebbe zavorrare la domanda globale. In questo scenario, un rallentamento economico a inizi 2020 potrebbe far crollare le probabilità di vittoria di Trump all’Election Day del novembre del prossimo anno – secondo Morgan Stanley – visto che la promessa del presidente è stata quella di sostenere la crescita e abbassare la disoccupazione”.

Che qualcosa di potenzialmente molto grave possa abbattersi sui mercati, in realtà Wall Street lo sta iniziando a scontare: lo S&P 500 ha terminato infatti il mese di maggio con un calo del 6,6%.

Il Dow Jones ha concluso inoltre la sessione di venerdì soffrendo la sesta settimana consecutiva di perdite – la fase ribassista più lunga dal 2011 – mentre quella appena passata si è confermata la quarta settimana consecutiva in rosso per il Nasdaq e lo S&P 500.

A suonare un campanello d’allarme è anche Goldman Sachs, diventata più pessimista sull’esito della guerra commerciale. I suoi analisti ritengono infatti che esista ora una probabilità del 60% che l’America imponga i dazi doganali su tutti i prodotti cinesi (al momento, la metà, per un valore appunto di $300 miliardi, rimane esentata dall’applicazione delle tariffe). La probabilità è stata rivista al rialzo dalla precedente 40%.

“In Cina la retorica si è intensificata….appare probabile una ulteriore escalation da entrambe le parti, incluso il lancio di misure sotto forma di dazi e non”.

E d’altronde, cosa dire delle altre novità che sono emerse nelle ultime 24 ore dalla Cina, apparentemente pronta ad attaccare gli Usa di Trump con l’imposizione di dazi su 2.400 prodotti e un’inchiesta, anche, su FedEx, che vede coinvolta Huawei, nome ormai simbolo di questa guerra commerciale, il cui nome è entrato insieme a quello di molti altri nella lista nera americana?

Cosa dire, anche, dell’arma terre rare che Pechino potrebbe decidere di sfoderare? Per non parlare dell’opzione nucleare sui Treasuries, di cui la Cina è primo detentore estero, che potrebbero diventare carta straccia se la Cina perdesse la pazienza e decidesse di smobilizzare.

Dagli ultimi dati macro è emerso che le esportazioni giapponesi sono scese per il quinto mese consecutivo, pagando l’impatto delle tensioni commerciali, giusto per fare un esempio delle conseguenze dell’escalation delle tensioni.

E proprio oggi la continua contrazione del settore manifatturiero in Europa è stata spiegata con il permanere di alcuni rischi che comprendono per l’appunto, oltre alla Brexit, il dilagare degli attacchi commerciali su base mondiale: un contesto che non dovrebbe lasciare sorpreso nessuno di fronte al campanello d’allarme recessione globale suonato dagli analisti di Morgan Stanley.