Notizie Notizie Italia Ultimatum Bce all’Italia: in caso di crisi liquidità aiuti solo con accordo bailout con Ue

Ultimatum Bce all’Italia: in caso di crisi liquidità aiuti solo con accordo bailout con Ue

12 Ottobre 2018 13:16

Ultimatum della Bce di Mario Draghi all’Italia: stando a quanto hanno riportato a Reuters cinque fonti senior, la Banca centrale europea non salverà il paese nel caso in cui lo Stato o le banche italiane si trovassero ad affrontare una grave crisi di liquidità, a meno che non fosse stato raggiunto prima un accordo di bailout tra Roma e Bruxelles. In poche parole, l’ultimatum di Francoforte è il seguente: “Obbedite all’Ue, o non vi salveremo”.

Le cinque fonti, che hanno parlato da Bali, Indonesia, a margine delle riunioni del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, hanno detto di ritenere che l’Italia sia ancora in tempo per evitare una crisi del debito – sempre che il governo M5S-Lega decida di cambiare atteggiamento sulla legge di bilancio – ma, anche, che non debba fare affidamento sulla Bce in caso di eventuali buchi di bilancio delle sue banche.

Il no si giustifica con le stesse regole dell’Unione europea, in base a cui la Bce non ha l’autorizzazione ad aiutare un qualsiasi paese dell’Eurozona, a meno che lo stesso non abbia già raggiunto un accordo di bailout con Bruxelles, attraverso cui possa essere aiutato in cambio di riforme economiche severe. Dunque, in cambio dell’austerity. Reuters ricorda che il governo italiano ha strenuamente rigettato una tale opzione che, se realizzata, vedrebbe la Bce acquistare i suoi bond sul mercato attraverso il piano OMT (Outright Monetary Transactions).

Tutti i vari appelli lanciati da diversi esponenti del governo Conte affinché la Bce intervenga per aiutare l’Italia, che sia attraverso il mantenimento dello scudo BTP (ovvero del Quantitative easing), o attraverso acquisti diretti dei suoi bond per azzerare addirittura lo spread (vedi appello del ministro Paolo Savona) sarebbero dunque destinati a cadere nel vuoto.

L’iter vuole che l’Italia bussi prima alla porta di Bruxelles, e poi a quella di Francoforte. Il che significa che l’unico modo di accedere a eventuali aiuti della banca centrale è trovare un’intesa con quelli che vengono spesso chiamati con disprezzo i burocrati europei.

Le cinque fonti hanno avvertito che il punto dolente dell’Italia è rappresentato dalle sue banche, che si portano dietro un carico di bond governativi per un valore complessivo di 375 miliardi di euro.

“Se l’Italia, come nel caso della Grecia, dovesse perdere il suo rating investment-grade (e scivolare dunque nel girone dei junk), l’effetto sarebbe disastroso”, si legge nell’articolo.

Le banche non potrebbero infatti più utilizzare i BTP che hanno in pancia a titolo di garanzia per ricevere cash dalla Bce – come è avvenuto per i prestiti di lungo termine del valore di 250 miliardi di euro ricevuti finora – né potrebbero continuare a usufruire del QE (che, comunque, termina alla fine dell’anno, almeno stando ai piani attuali della banca centrale).

Con i BTP a junk, le banche italiane che si trovassero orfane di altri bond con rating investment grade da presentare a titolo di garanzia sarebbero costrette a ricorrere all’ELA (Emergency Liquidity Assistance), strumento fornito da Bankitalia.

A tal proposito, una fonte ha precisato che in Italia “ci sono comunque banche che versano in buone condizioni di salute e che dunque non tutte dovrebbero richiedere l’ELA”. Tuttavia, se le richieste di fondi di liquidità di emergenza fossero troppe, gli istituti incapperebbero in alcune limitazioni.

I fondi di liquidità possono essere erogati infatti solo a favore di banche reputate solvibili. Di conseguenza, il Consiglio direttivo della Bce potrebbe pretendere che l’Italia disponesse di un programma economico ben definito, prima di dare l’ok alle erogazioni di cash.

E di vero e proprio ultimatum si tratterebbe, così come è accaduto nella grave crisi attraversata dalla Grecia quando, nell’estate del 2015, la Bce decise di congelare i finanziamenti ELA a favore delle banche elleniche, dopo la decisione del governo Tsipras di rifiutare un accordo di bailout. Fu allora che l’allora e attuale premier fu costretto a chiudere le banche, per evitare una corsa agli sportelli.

“Non avremmo dato cash alle banche solo per veder poi portate via le somme all’estero“, ha detto una delle fonti intervistate da Reuters.

Fortunatamente questi, per ora, sono solo scenari, considerati più o meno concreti a seconda dell’economista di turno. Non si tratta certo di scenari impossibili, visto che l’Italia ha già rischiato di far saltare in aria l’euro nell’autunno del 2011.

Tuttavia ora non si può neanche parlare di crisi di liquidità, ovvero di credit crunch, visto che non sono stati rilevati episodi di corsa agli sportelli o di chiusura di conti correnti.

Al momento, il rating del debito italiano assegnato da tre delle quattro agenzie riconosciute dalla Bce -Moody’s, Fitch, S&P – rimane al di sopra di quello junk di due livelli, mentre quello assegnato dall’altra agenzia,DBRS, ha uno stacco rispetto a junk di tre gradini.

Determinante sarà il giudizio che sarà snocciolato nella seconda metà di questo mese da Moody’s e S&P Global.

Gli analisti intervistati da Reuters ritengono che i mercati stiano già scontando almeno un downgrade. A quel punto, le cose potrebbero davvero cambiare, e lo spettro di un credit crunch non necessariamente sarebbe così inconcepibile.