Trump: “Agenda America First positiva per noi e per tutto il mondo”. Ma Pil Usa delude

Donald Trump è convinto che la sua agenda “America First” apporterà benefici non solo all’economia americana, ma al mondo intero. Così il presidente Usa, in un discorso proferito da Davos, in occasione del World Economic Forum:
“Quando l’America cresce, cresce anche il mondo – ha detto – La prosperità americana ha creato innumerevoli posti di lavoro in tutto il mondo, e la ricerca negli Usa dell’eccellenza, della creatività e dell’innovazione si è tradotta in importanti scoperte, che hanno aiutato la gente, ovunque, a vivere vite più ricche e più sane“.
I toni di Trump sono stati decisamente meno aggressivi e più concilianti del solito, nel momento in cui ha anche affermato che gli Stati Uniti sono ancora a favore del libero scambio, purchè sia “giusto e reciproco”.
“Gli Stati Uniti – ha sottolineato – sono pronti a intavolare trattative bilaterali, che apportino benefici a entrambe le parti, con tutti i paesi”.
Così come ha fatto più volte in passato, il presidente ha riconosciuto inoltre alla sua amministrazione il merito di aver sostenuto la crescita economica e il mercato azionario.
“Dopo anni di stagnazione, gli Stati Uniti stanno vivendo nuovamente una fase di solida crescita economica. La fiducia dei consumatori, la fiducia delle aziende (in generale) e di quelle manifatturiere (in particolare) viaggiano ai livelli record in decenni”.
A tal proposito, proprio oggi è stato diffuso il dato relativo al Pil Usa che, negli ultimi tre mesi del 2017, ha segnato una crescita del 2,6%. Il dato è stato sostenuto proprio dal contributo positivo arrivato dalle aziende e dalle famiglie: le prime hanno di fatto aumentato gli investimenti – l’acquisto delle attrezzature è salito per esempio di ben l’11,4% -, mentre le spese per consumi hanno accelerato il passo fino a segnare un rialzo, su base annua, del 3,8%, al ritmo più veloce in quasi due anni.
Le note stonate non sono tuttavia mancate. La crescita complessiva del Pil è stata infatti inferiore al +3% atteso dal consensus.
A pesare è stata soprattutto la componente dei beni invenduti, ovvero delle scorte, il cui valore è sceso di $29,3 miliardi.
A frenare l’espansione è stato anche il deficit commerciale, scatenato da un balzo delle importazioni del 13,9%, ben più alto del rialzo delle esportazioni, pari a +6,9%.
Altra indicazione che farà sicuramente alzare le antenne alla Federal Reserve è arrivata dal tasso annuo di inflazione, misurato dall’indice PCE, che è salito al 2,8%, al record dal 2011, a fronte di una componente core che è avanzata al ritmo più basso dell’1,9%.