Notizie Notizie Mondo Troppo bello per essere vero. I mercati ancora una volta si fidano di Powell, ma che succede se aspettative Fed si rivelano errate?

Troppo bello per essere vero. I mercati ancora una volta si fidano di Powell, ma che succede se aspettative Fed si rivelano errate?

13 Gennaio 2022 10:15

L’inflazione continua a galoppare negli Stati Uniti e a dicembre 2021 ha raggiunto il 7% annuo, ossia i nuovi massimi a quasi 40 anni. I mercati ieri però hanno deciso di vedere il bicchiere mezzo pieno, ossia poteva andare peggio. Il dato sul cpi USA ha infatti impattato con le attese degli analisti e quindi è stato scongiurato il rischio di un surriscaldamento ancora più forte dei prezzi. Inoltre molti osservatori ritengono che il picco sia stato raggiunto a fine 2021 o al massimo ci sarà nei primissimi mesi dell’anno per poi incamminarsi verso una normalizzazione dei prezzi del corso dell’anno.

Oltre il +7%, i dati del NFIB non fanno ben sperare per prossimi mesi

Non tutti concordano con questa lettura. I dati diffusi ieri dal National Federation of Independent Business (NFIB) mostrano che la percentuale di aziende che alza i prezzi è al livello più alto degli ultimi 40 anni. A preoccupare è il fatto che il NFIB  riferisca di un nuovo massimo storico per la percentuale di imprese che prevede di aumentare ulteriormente i propri prezzi nei prossimi tre mesi. “Non ci dice di quanto li aumenteranno, ma l’ampiezza del potere di determinazione dei prezzi delle aziende deve allarmare la Federal Reserve, specialmente in un ambiente in cui il costo del lavoro sta accelerando mentre le aziende cercano disperatamente lavoratori”, asserisce James Knightley, capo economista di Ing, che vede l’inflazione rallentare gradualmente nei prossimi mesi, ma probabilmente rimarrà al di sopra del 3% per tutto l’anno.

Wall Street vede bicchiere mezzo pieno

Gli investitori hanno optato per una interpretazione ottimista del dato, che perlomeno non si è spinto oltre le attese. Così ieri Wall Street ha messo a segno la terza seduta consecutiva di rialzi. Già martedì i mercati avevano reagito con ottimismo alle parole di Jerome Powell, presidente della Fed, che ha espresso fiducia nella forza della ripresa dell’economia americana che versa in condizioni tali da avallare una politica monetaria più restrittiva. Tradotto in parole semplici: la tornata di rialzi dei tassi in arrivo – tre o quattro strette nel giro di 12 mesi – non intaccherà la congiuntura a stelle e strisce.

L’ottimismo di Powell dovrà nuovamente fare i conti con la realtà?

L’ottimismo di Powell sulla capacità della FED di riportare sotto controllo l’inflazione, senza danneggiare economia e utili aziendali, ha convinto gli investitori per il momento. I tassi dei Treasury si sono sgonfiati un po’ e a Wall Street è prevalsa ancora una volta il “buy the dip”. Ma c’è da fidarsi? “Un atto di fiducia encomiabile, se si pensa che il Presidente Fed è lo stesso che 8/9 mesi fa diceva che l’inflazione era transitoria, mentre nella seconda parte dell’anno il CPI ha fatto il record dagli anni ’80. Il tutto con i Fed Funds a zero e la Fed impegnata nel QE ancora per un paio di mesi – asserisce Giuseppe Sersale, Strategist di Anthilia Capital Partners Sgr – . Pensare che la stance necessaria a riportare sotto controllo l’inflazione non avrà alcuna conseguenza sul ciclo mi pare azzardato. Certo, può essere che, passata la fase di stimolo forsennato e i colli di bottiglia alla produzione, le forze disinflazionarie strutturali si riaffermino, e il CPI rientri in gran parte autonomamente. Questa sembra essere l’opinione del mercato, a giudicare dai livelli dei bonds”. “Ma è un po’ che si insiste questa mean revertion, e nel frattempo siamo al 7% – aggiunge Sersale – . Diciamo che il concetto di premio al rischio al momento non sembra molto popolare tra gli investitori, scalzato da acronimi più recenti come TINA (there is no alternative), FOMO (fear of missing out) e BTFD (buy the fucking dip)“.

La realtà è che ad oggi l’inflazione viaggia ai massimi da decenni e con la FED ancora non si è mossa. Il primo rialzo è atteso a marzo. La reazione dei mercati al dato di ieri è però dollaro e rendimenti in calo, mentre borse e commodities corrono. Che succede se, una volta di più, le aspettative di rientro si rivelano errate? “C’è da scommettere che se il CPI non rallenta rapidamente, le pressioni sul FOMC diventeranno elevate (o peggio, si parla di controlli sui prezzi, che vanno a detrimento dei margini)”, prosegue Sersale ricordando come la nuova ondata di omicron in Cina potrebbe esacerbare ulteriormente le difficoltà di approvvigionamento nei prossimi mesi.

Qualcosa non quadra

L’esperto di Anthilia Capital Partners si spinge poi nel ragionamento opposto: se un 7% di inflazione non ha disancorato le attese, e fatto polpette della curva dei tassi, cosa può farlo? Cosa impedisce di continuare così, coi Fed Funds reali negativi di manciate di punti percentuali, il migliore dei mondi possibili per Corporate USA? “Non saprei – è la sua risposta – ma l’esperienza insegna che se una cosa sembra troppo bella per essere vera, di solito non lo è. Prima del Covid una certa scuola sosteneva che si poteva fare deficit fiscale a piacere senza timore di creare inflazione, che era ormai morta. A questo punto direi che abbiamo la prova contraria”.

Intanto, tra i movimenti più marcati di ieri c’è quello delle commodity: rame su del 3%, petrolio del 2% e anche i preziosi in guadagno. Dinamica delle commodity che inevitabilmente, se confermata, sottende un economia forte. Ma se così sarà, ossia ciclo resiliente alle prossime strette Fed e commodity forti, su che base rallenteranno i prezzi?