Notizie Notizie Italia Tria rilancia ‘bomba bail-in’. Italia ricattata da Germania. Storia di una norma che l’ABI vuole cancellare

Tria rilancia ‘bomba bail-in’. Italia ricattata da Germania. Storia di una norma che l’ABI vuole cancellare

28 Febbraio 2019 10:11

Tutti contro il bail-in, Abi in primis. Si riapre il caso, dopo le dichiarazioni bomba rilasciate ieri dal ministro dell’economia Giovanni Tria. Tra queste, quella secondo cui, a essere contraria alla norma  sul bail-in (che molti considerano niente di meno rispetto a un prelievo forzoso camuffato) – fu a quei tempi la stessa Bankitalia.

Ma l’allora ministro dell’economia Fabrizio Saccomanni, ha rivelato Tria, venne ricattato dal falco Wolfang Schaeuble, allora ministro tedesco delle finanze

Saccomanni, ha rivelato Tria, “venne praticamente ricattato dal ministro delle finanze della Germania”. In che modo?

“Se l’Italia non avesse accettato il bail-in si sarebbe diffusa la notizia che il sistema bancario italiano era prossimo al fallimento, il che significava avere il fallimento del sistema bancario”.

Per Tria, tra l’altro, l’istituzione del bail-in dovrebbe essere abolita. E su questo punto il ministro può contare sull’appoggio di diverse istituzioni, Abi in primis.

Tria, Abi, Fabi: nessuno vuole il bail-in

Oltre all’Abi di Antonio Patuelli, anche la Fabi – sindacato dei dipendenti bancari – ha colto l’occasione per dire la sua sul bail-in.

Così in una nota il segretario generale, Lando Maria Sileoni:

“Dato che i diamanti sono di attualità, un diamante d’autore è rappresentato dalle dichiarazioni di oggi del ministro Tria che non solo critica aspramente le regole sul bail in, ma spiega anche i motivi per cui l’Italia fu costretta ad accettarlo. Si parla esplicitamente di ricatti da parte del ministro delle Finanze tedesco e, conoscendo l’equilibrio e l’onestà intellettuale del ministro Tria, non abbiamo dubbi che sia andata così. A maggior ragione quindi bisognerebbe oggi che le forze politiche, economiche e sindacali del Paese facciano quadrato per eliminare, come suggerito giustamente dal presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, una decisione, quella del bail in, che colpisce negativamente l’economia, la clientela, le lavoratrici e i lavoratori bancari”.

Si riapre così il dibattito sul bail-in, in realtà sempre vivo negli ambienti degli addetti ai lavori.

Vale la pena a tal proposito ricordare di cosa si tratta.

In un articolo scritto il 4 gennaio del 2016 Hugo Dixon, editorialista di Reuters Breakingviews, ricordava che, con l’inizio dell’anno, l’Unione europea entrava ufficialmente nel “nuovo mondo coraggioso dei bail-in bancari. Un nuovo regime che avrebbe comportato “grandi rischi politici”.

La definizione dell’istituzione del bail-in è presente nel sito della Commissione europea, laddove si parla di risoluzioni bancarie, in particolare della direttiva BBRD (Bank Recovery and Resolution Directive).

La direttiva, si legge, venne adottata nella primavera del 2014, al fine di fornire alle autorità strumenti efficaci ed esaustivi per gestire i casi di “banche vicine al fallimento, a livello nazionale” e anche per affrontare i “fallimenti di banche transnazionali”.

Bail-in con fini ‘nobili’ contro bailout

“La direttiva – si legge nel sito dell’Ue – richiede alle banche di preparare piani di rilancio per superare situazioni di stress finanziario, e affida alle autorità nazionali i poteri per assicurare che le risoluzioni delle banche sull’orlo del fallimento avvengano con costi minimi a carico dei contribuenti”.

E’ in queste ultime parole che è presente la ragione d’essere della direttiva BRRD, quella che disciplina l’istituzione dei bail-in.

Il fine ultimo per cui la norma venne concepita era, in un certo senso, nobile.

La sua introduzione avrebbe posto fine all’altra istituzione, quella del bail-out, che aveva visto tanti contribuenti costretti a pagare con le proprie tasche diversi salvataggi bancari lanciati nel periodo della crisi finanziaria globale.

L’articolo scritto da Hugo Dixon ricorda come la Commissione europea avesse approvato, nel periodo compreso tra l’ottobre del 2008 e la fine del 2012, salvataggi di banche da parte degli stati per un valore 592 miliardi di euro.

Tali bail-out “erano stati giustificati con l’assunto secondo cui, nel caso in cui le banche fossero fallite e i correntisti avessero perso i loro soldi, ci sarebbe stato il caos economico“.

“Il problema – si legge nell’articolo – era che aiutare le banche con i soldi pubblici aveva portato i debiti governativi a gonfiarsi, contribuendo alla crisi dell’euro (crisi dei debiti sovrani). Di qui, l’idea che dovessero essere gli investitori, e non i contribuenti, a sostenere i costi per salvare o chiudere le banche”.

E di fatto, tornando alla direttiva BBRD, si legge che “le regole sulle risoluzioni bancarie dell’Unione europea stabiliscono che gli azionisti e i creditori paghino la loro parte dei costi attraverso il meccanismo del ‘bail-in’. Se ciò non dovesse essere ancora sufficiente, i fondi di risoluzione nazionale costituiti in base alla BBRD possono stanziare le risorse che sono necessarie per garantire che una banca possa continuare a operare mentre è in fase di ristrutturazione”.

Tutto questo, per “assicurare la continuità delle funzioni cruciali delle banche; per preservare la stabilità finanziaria, e per ripristinare l’attività di parti o di tutta la banca”.

Bail-in e altri strumenti di risoluzione

Il bail-in fa parte per l’appunto di questi strumenti di risoluzione, che sono diversi, come si legge nel sito di Bankitalia. Quali sono gli strumenti di risoluzione? Vengono elencate le varie mosse che possono essere decise dalle autorità di risoluzione:

  • Vendere una parte dell’attività a un acquirente privato;
  • Trasferire temporaneamente le attività e passività a un’entità (bridge bank) costituita e gestita dalle autorità per proseguire le funzioni più importanti, in vista di una successiva vendita sul mercato;
  • Trasferire le attività deteriorate a un veicolo (bad bank) che ne gestisca la liquidazione in tempi ragionevoli;
  • Applicare il bail-in, ossia svalutare azioni e crediti e convertirli in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in difficoltà o una nuova entità che ne continui le funzioni essenziali.

L’intervento pubblico è previsto soltanto in circostanze straordinarie per evitare che la crisi di un intermediario abbia gravi ripercussioni sul funzionamento del sistema finanziario nel suo complesso.

L’attivazione dell’intervento pubblico, come ad esempio la nazionalizzazione temporanea, richiede comunque che i costi della crisi siano ripartiti con gli azionisti e i creditori attraverso l’applicazione di un bail-in almeno pari all’8 per cento del totale del passivo.

Definizione di bail-in

Sempre sul sito di Bankitalia viene spiegato cos’è il bail-in.

Il bail-in (letteralmente salvataggio interno) è uno strumento che consente alle autorità di risoluzione di disporre, al ricorrere delle condizioni di risoluzione, la riduzione del valore delle azioni e di alcuni crediti o la loro conversione in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in misura sufficiente a ripristinare un’adeguata capitalizzazione e a mantenere la fiducia del mercato. Gli azionisti e i creditori non potranno in nessun caso subire perdite maggiori di quelle che sopporterebbero in caso di liquidazione della banca secondo le procedure ordinarie”.

Chi sono i soggetti coinvolti del bail-in? La direttiva stabilisce che i primi a essere colpiti dalle perdite di una banca in difficoltà dovrebbero essere gli azionisti, visto che, in quanto tali, si tratta di operatori consapevoli della presenza dei rischi. Se ciò non dovesse bastare, a quel punto toccherebbe fare la loro parte ai detentori di obbligazioni subordinate, in quanto questi bond sono considerati rischiosi. Poi, tocca ai detentori di obbligazioni senior e, alla fine, ad accollarsi le perdite dovrebbero essere tutti quei correntisti che detengono una somma superiore ai 100.000 euro nei loro depositi.

L’articolo di Hugo Dixon riprende il caso del crac delle quattro banche italiane Banca Etruria, Cariferrara, Carichieti e Banca Marche, salvate dal baratro ai tempi del governo Renzi nel novembre del 2015, prima che la normativa sul bail-in diventasse efficace in Italia,

“L’Italia è ricorsa a un nuovo schema di bailout finanziato dalle banche per iniettare 3,6 miliardi di euro in quattro piccole banche, lo scorso novembre. Ma il problema è che molti obbligazionisti subordinati erano piccoli risparmiatori a cui quegli investimenti erano stati proposti senza che ne venisse spiegato il grado di rischio. E uno di loro decise anche di togliersi la vita”.

Dixon conclude l’articolo chiedendosi cosa sarebbe accaduto se le autorità fossero state costrette ad applicare le regole del bail-in in questi casi specifici, ricordando il prezzo che il governo Renzi pagò in termini di popolarità proprio a causa delle quattro banche salvate.

C’è da dire, in riferimento alle parole di Patuelli, che fa notare come il bail-in non sia stato mai utilizzato, se davvero abbia senso pensare a un’istituzione anti-bailout, ovvero anti-salvataggi con soldi pubblici.

Nel caso dell’Italia, il governo è intervenuto infatti più volte, mettendo a disposizione i soldi dei contribuenti  in modo seppur diverso e anche  semplicemente lanciando le garanzie pubbliche per le emissioni di bond bancari, per salvare Mps e le banche venete.

Ultimo caso: la messa in sicurezza di Carige, avvenuta con un decreto ad hoc.

Cambiare il bail-in con i bond bailinable?

Un passo in avanti, per tutelare sia i risparmiatori che le banche, è stato fatto nel 2017, con l’apertura, da parte dell’Ecofin, a introdurre cambiamenti nella normativa del bail-in.

In quell’occasione, i ministri delle finanze Ue si sono impegnati a creare una una nuova categoria di obbligazioni “non-preferred senior debt”.

Chi decidesse di acquistare questi bond vedrebbe azzerato il proprio investimento solo dopo il contributo di tutti gli azionisti e obbligazionisti junior non privilegiati, ma prima di altri obbligazionisti privilegiati e dei depositanti.

Con l’accordo del 16 giugno del 2017, i ministri hanno dato così praticamente il via libera a nuove regole sul bail-in capaci di stabilire una sorta di certezza su quello che potrebbe essere il danno futuro che ricadrebbe sui risparmiatori a seconda dei bond detenuti.

Non che una classifica in tal senso non fosse presente: ma alcuni dettagli, soprattutto riguardo al tipo di obbligazione detenuta, generavano ancora molta confusione.

L’auspicio è stato per la creazione da parte delle banche di nuovi bond “bailinable”, praticamente bond sottoposti a bail-in, che possano dare alla banca un ulteriore cuscinetto in caso  di crisi. Ma nell’attesa, il bail-in è ancora lì, ancora spettro, e nonostante questo capace di agitare i mercati anche se solo pronunciato.