Tria ne ha per tutti: rischio Italexit è boutade elettorale, non siamo la Grecia. Duro attacco al pari grado austriaco
Le elezioni europee sono ormai alle porte e puntualmente si itorna a parlare di Italexit. A lanciare il sasso questa volta è Carlo Calenda, ex ministro dello Sviluppo Ecoppoico sotto il governo Renzi e oggi capolista alle Europee che paventa il rischio di un’uscita dell’Italia dal mercato unico sull’esempio della Brexit. Ad accennare allo spettro di un’uscita dall’euro è stato indirettamente anche il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, ricordando come lo spread BTp/Bund è a livelli doppi rispetto ai livelli prima delle elezioni politiche 2018 e “i premi sui credit default swap (CDS) suggeriscono che il differenziale di rendimento sia cresciuto sia per effetto dell’aumento del rischio di credito sia per il rischio di ridenominazione dei bond in una differente valuta”, ossia la possibilità che l’Italia esca dall’euro.
Rischio Italexit: i timori di Calenda e Gentiloni
“La realtà è che bisogna trovare 25 miliardi di euro, considerata la mancata crescita e il resto. Quota 100 è un provvedimento molto costoso che aumenta in proporzione il debito pensionistico e penso sia molto concreto il rischio di Italexit”. Così l’ex numero uno del Mise ai microfoni di Radio anch’io su Rai Radio 1 secondo cui il timore di un’uscita arriva da una “ragione di cui non si parla molto”. “I sovranisti – continua Calenda – non avranno più del 10,15% del Parlamento ma ci sarà una spaccatura tra paesi a guida sovranista e paesi a guida diciamo democratica e liberale. E noi entreremo con i paesi a guida sovranista come Polonia e Ungheria”. Dello stesso avviso anche l’ex premier Paolo Gentiloni. “Io trovo che sia un fatto davvero colossale che un vicepremier dica “tireremo dritto sul debito, che sia 130 o 140% del Pil. Come dire 200 miliardi in più o in meno chi se ne frega. Mi dispiace fare la Cassandra, però non siamo mai stati così isolati e a rischio in Europa. Ho un po’ di timore a pronunciare questo nome, Italexit, però vedo un isolamento totale. E siccome a Bruxelles non ci saranno ribaltoni, checché ne dica la propaganda del nostro governo, alla fine il rischio che a ribaltarsi sia l’Italia è crescente”.
La risposta di Tria
Boutade in campagna elettorale, così il ministro dell’economia Giovanni Tria ha bollato le dichiarazioni di Calenda sull’Italexit. Parlando a margine dell’Eurogruppo a Bruxelles, il titolare del dicastero di via XX Settembre non ha risparmiato nessuno, sia per l’opposizione ma anche per i colleghi di maggioranza, Matteo Salvini in particolare. “A chi sostiene che non c’è problema se il debito/pil arriva al 140% dovrebbe attenersi ai documenti ufficiali del governo” sostiene Tria. “C’è un Def che è stato approvato dal governo ed è stato approvato dal Parlamento, che ha fatto anche una risoluzione in cui chiede, com’è noto, di non aumentare l’Iva, ma tutto negli obiettivi di finanza pubblica specificati nel Def. E quindi il governo sta attuando solo quello che è scritto nel Def”.
Poi il ministro ha risposto alle parole del suo collego austriaco Hartwig Löger, che ha parlato del rischio che l’Italia diventi una nuova Grecia. “L’Italia ha pagato abbondantemente per debiti altrui per aiutare gli altri paesi non avendo mai chiesto un euro. Non credo che l’Austria abbia pagato quanto l’Italia, essendo il terzo contributore, per aiutare gli altri paesi compreso la Grecia” continua il ministro. “Invito gli altri amici europei a pensare prima di parlare”. Peraltro, ha aggiunto, “sui titoli di Stato italiani molte persone hanno fatto un sacco di soldi, sono uno dei titoli che rende di più, è un problema per l’Italia che paga alti tassi di interessi, ma è un buon affare per chi acquista“.
Da ultimo il ministro ha lanciato una stoccata a Bruxelles. “Penso che debba cambiare la politica economica in Europa e anche quella fiscale, il fiscal compact e anche il modo in cui si stima l’output gap è una metodologia che porta a una politica strutturalmente deflattiva e quindi dannosa per l’insieme dell’Europa”. “La politica fiscale deve interessare l’economia europea nel suo complesso, quindi se c’è un Paese che deve fare una politica fiscale più restrittiva per un periodo, deve essere compensata da una politica fiscale diversa negli altri Paesi”.