Spread Btp-Bund da favola verso quota 80, ma per Meloni-Giorgetti il conto è più salato. Ecco perchè

Fonte immagine: Getty
E’ stato un incipit di seconda metà dell’anno a spron battuto per l’Italia. Lo spread tra Btp è bund stamattina si è spinto ai nuovi minimi dal 2010 in area 84 punti base confermando il forte appetito degli investitori verso la carta italiana.
Oggi nuovo ribasso, ecco perché
Il confronto tra Btp e Bund fino a ieri avveniva tra un decennale tedesco che scade a febbraio 2035 con un decennale tricolore che invece matura ad agosto 2035, cioè sei mesi dopo e quindi esprime un rendimento più elevato in virtù della maggiore durata. Oggi è prevista l’emissione da parte di Berlino di un Bund con scadenza ad agosto 2035 che permetterà un confronto alla pari e pertanto il differenziale potrebbe stringersi non di poco. Non è da escludersi subito un attacco alla prossima importante soglia psicologica, quella degli 80 pb.
Appare un lontano ricordo il picco a 570 punti dell’autunno del 2011 che provocò la caduta del governo Berlusconi e l’arrivo del ‘tecnico’ Mario Monti per rimettere in sesto i conti dell’Italia.
Meloni meglio di Draghi
Il governo Meloni, inizialmente accolto dai mercati con più di un sospetto per una possibile gestione allegra dei conti pubblici, alla prova dei fatti si è dimostrato rigoroso nella gestione del debito e il termometro rappresentato dallo spread permette all’attuale esecutivo di fregiarsi del primato sullo spread rispetto al Governo Draghi e a quello Gentiloni, gli unici negli ultimi tre lustri durante i quali lo spread era sceso sotto 90.
Un articolo pubblicato ieri da Bloomberg mette in risalto proprio il marcato calo del differenziale di rendimento tra Btp e Bund durante l’attuale governo, con valori ridotti di circa due terzi rispetto a quelli a cui viaggiava all’insediamento del governo nell’autunno 2022.
Come detto, la politica di stabilità fiscale ha permesso all’Italia di guadagnare credibilità sui mercati finanziari e Bloomberg sottolinea il lavoro del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che ha rassicurato più volte gli investitori con un approccio prudente e realistico.
Il debito pubblico che resta sopra il 130% del Pil, ma il deficit è sceso più del previsto attestandosi al 3,4% a fine 2024 e potrebbe andare sotto il 3% anche prima del 2026 indicato da via XX Settembre.
A sancire i progressi dell’Italia sono state anche le agenzie di rating con S&P Global Ratings che ad aprile ha alzato di un gradino il merito di credito del paese, mentre Moody’s ha rivisto a positivo l’outlook.
Spazio per ulteriore discesa
La fase di restringimento dello spread potrebbe continuare. Barclays ha indicato la possibilità di una discesa dello spread fino a 70 punti base, mentre Goldman Sachs ha posto l’accento sul fatto che tutti gli episodi che hanno portato a un allargamento degli spread negli ultimi 10 anni sono stati causati da instabilità politica e tale rischio attualmente sembra basso in Italia. Il governo Meloni risulta l’unico esecutivo italiano degli ultimi 20 anni ad aver guadagnato in popolarità nei 30 mesi successivi al suo insediamento. “Prevediamo che questa condizione si manterrà almeno fino al prossimo anno, data l’assenza di catalizzatori politici rilevanti”, rimarca la casa d’affari Usa.
Anche Neuberger Berman si aspetta che i titoli italiani continuino a sovraperformare e indica un target a 80 pb; in generale rimarca come tutto il contesto per i Paesi periferici risulta più favorevole con deficit sotto controllo abbinati a una crescita più elevata rispetto a molte nazioni ‘core’.
Esultanza a metà, cosa dicono i rendimenti
C’è però una nota dolente. Le dinamiche della prima metà dell’anno a livello di rendimenti raccontano una storia diversa. Nonostante la striscia record di tagli dei tassi da parte della Bce negli ultimi 12 mesi (8 tagli consecutivi), oggi il rendimento del Btp a 10 anni è in area 3,45%, superiore rispetto ai minimi a 3,18% toccati lo scorso dicembre. Quasi 30 punti base di rendimento che non sono poco visto che se il rendimento sale, vuol dire che lo Stato deve offrire interessi più alti per convincere gli investitori a comprare i suoi titoli. Tradotto in soldoni: il costo del debito pubblico per lo Stato italiano è salito nuovamente nonostante la Bce stia continuando ad abbassare i tassi di interesse.
Un trend che riguarda tutti i titoli di Stato dell’Eurozona e può essere ricondotto in parte alle attese legate a politiche più espansive in particolare da parte della Germania che è pronta a innescare un maxi-bazooka fiscale per stimolare la crescita.
Altro elemento non di poco conto è che nonostante il miglioramento evidente dei conti pubblici e una crescita del Pil, l’Italia rimane la pecora nera dell’Eurozona in termini di rendimenti. La Francia è al 3,25% con il suo titolo decennale, la Spagna al 3,21%, il Portogallo al 3,02% e anche la Grecia ormai da tempo sta davanti al Belpaese con il 3,27%. Da un lato l’avere il rendimento più alto in Eurozona è un elemento che favorisce l’appeal del debito italiano agli occhi degli investitori, come evidenziano le ultime emissioni di Btp con richieste record incassate dal Tesoro in questi mesi, dall’altro un macigno in più rispetto agli altri paesi in termini di interessi da pagare sul debito.