Spread Btp-Bund a 100, Meloni come Draghi. Ma Giorgetti ha poco da esultare: ecco perchè

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Il traguardo è ormai a portata di mano, manca poco più un singolo punto base per violare al ribasso la tanto ambita soglia dei 100 punti base. Parliamo dello spread Btp-Bund, assestatosi ieri a 101 punti base in chiusura e anche stamattina a ridosso di tale livello, che rappresenta il minimo degli ultimi quattro anni. A ben vedere però il bicchiere è mezzo pieno. Vediamo perchè.
Schiarita sui dazi favorisce ulteriore calo dello spread
L’ulteriore restringimento del differenziale tra Btp e Bund si è materializzato negli ultimi giorni in maniera silenziosa ma costante sull’onda del ridimensionarsi delle tensioni sul fronte dei dazi. L’accordo per una tregua di 90 giorni tra Usa e Cina a inizio settimana è stato la ciliegina sulla torta che ha dato ulteriore linfa al ritorno del sereno tra gli investitori, testimoniato dal rally prepotente di Wall Street e dai massimi dal 2007 toccati in questi giorni da Piazza Affari.
Proprio il nodo dazi un mese fa aveva spinto all’allargamento dello spread Btp-Bund fino a 128 punti base, interrompendo momentaneamente quel percorso di restringimento che caratterizza il grafico dello spread da ormai due anni.
Spread sotto 100 è una rarità, solo tre volte dal 2010 a oggi
Per vedere uno spread sotto quota 100 bisogna tornare indietro al settembre 2021 durante il governo Draghi. E un differenziale tra Italia e Germania sotto le tre cifre non è certo la normalità visto che si è verificato negli ultimi tre lustri solo appunto sotto il governo dell’ex presidente Bce, nel biennio 2015-2016 e la terza volta nel 2010 quando la crisi del debito e il caso Grecia ancora non erano pienamente emersi.
Un assist al calo dello spread arriva anche dal percorso virtuoso sul fronte dei conti pubblici con il livello del deficit tornato poco sopra l’asticella virtuosa del 3% (3,4% a fine 2024) e il contestuale ritorno a un avanzo primario. Le agenzie di rating non hanno mancato di sottolineare questo evidente cambio di marcia di Roma con S&P che il mese scorso un po’ a sorpresa ha migliorato il merito di credito sull’Italia. S&P indica per l’Italia un surplus di bilancio primario nel 2025-2028, elemento chiave per migliorare il deficit pubblico nonostante le spese per interessi di Roma siano le più elevate in Europa.
Meloni sul fattore Btp
Un elemento di vanto per l’attuale esecutivo che in caso di discesa sotto 100 non mancherà di porre l’accento sull’importanza del traguardo raggiunto. Già settimana scorsa intervenendo in parlamento la premier Giorgia Meloni ha ricordato il “rinnovato appeal dei titoli pubblici” e lo “spread che piaceva tanto come elemento di valutazione a oggi è più che dimezzato rispetto a quando ci siamo insediati e qui parliamo di una cosa che in realtà è molto concreta perché uno spread più basso significa miliardi di interessi sul debito pubblico risparmiati dallo Stato con risorse che possono essere destinate a altre esigenze, alla sanità, all’istruzione, al sostegno ai redditi più bassi”.
La Meloni ha ricordato anche che l’ufficio parlamentare di bilancio ha calcolato che nel solo biennio 2025-2026 questo risparmio dovrebbe ammontare a circa 10,5 miliardi.
I conti però tornano a metà, ecco le due note dolenti
A ben guardare la premier ha omesso qualche dettaglio che probabilmente non sfugge al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Le dinamiche di questi primi 5 mesi dell’anno non vanno tutte nella direzione del taglio del costo del debito. Anzi. Ad oggi il rendimento del Btp a 10 anni è in area 3,69% rispetto a minimi a 3,18% toccati lo scorso dicembre. Oltre 50 punti base di rendimento che non sono poco visto che se il rendimento sale, vuol dire che lo Stato deve offrire interessi più alti per convincere gli investitori a comprare i suoi titoli. Tradotto in soldoni: il costo del debito pubblico per lo Stato italiano è salito nuovamente nonostante la Bce stia continuando ad abbassare i tassi di interesse.
Un trend che riguarda tutti i titoli di Stato dell’Eurozona e può essere ricondotto in parte alle attese legate a politiche più espansive in particolare da parte della Germania che è pronta a innescare un maxi-bazooka fiscale per stimolare la crescita.
Altro elemento non di poco conto è che nonostante il miglioramento evidente dei conti pubblici e una crescita del Pil, l’Italia rimanga la pecora nera dell’Eurozona in termini di rendimenti. La Francia è al 3,35% con il suo titolo decennale, la Spagna al 3,29%, il Portogallo al 3,18% e anche la Grecia ormai da tempo sta davanti al Belpaese con il 3,43%. Da un lato un elemento che favorisce l’appeal del debito italiano agli occhi degli investitori, come evidenziano le ultime emissioni di Btp con richieste record incassate dal Tesoro in questi mesi, dall’altro un macigno in più rispetto agli altri paesi in termini di interessi da pagare sul debito.