Sofferenze banche, FABI: sono 126 grandi soggetti a pesare sui bilanci. Sileoni: ‘ancora molto credito relazionale, finanziamenti ad amici di amici”
Sono i gruppi industriali e le grandi aziende a pesare, coi prestiti non rimborsati, sui bilanci delle banche italiane, ma i piccoli debitori (famiglie, partite Iva, piccole e medie imprese) hanno avuto maggiori difficoltà, nell’anno del Covid, a saldare le rate dei finanziamenti. E’ quanto è emerso da un’analisi della Fabi sui dati che risalgono a marzo del 2021.
“Circa la metà delle sofferenze bancarie – si legge nella mappa delle sofferenze stilata dal sindacato – sul totale di quasi 50 miliardi di euro, si riferisce a finanziamenti di importo rilevante, superiori a 1 milione di euro. Si tratta, per l’esattezza, di 23,8 miliardi, pari al 49,96% dei 47,6 miliardi complessivi, riconducibili a 11.989 soggetti (famiglie e imprese) che corrispondono soltanto al 2,36% della galassia della clientela degli istituti di credito interessata dal fenomeno delle rate non pagate. E ad appena 126 soggetti fanno capo ben 2,9 miliardi di crediti deteriorati relativi a prestiti oltre 25 milioni di euro: allo 0,02% della clientela, quindi, fa capo il 6,12% delle sofferenze. Pochi soggetti, quindi, che, nella platea di oltre mezzo milione di ‘cattivi pagatori’ dell’industria creditizia, hanno una incidenza significativa sulle sofferenze del settore bancario. La percentuale sale, se si prendono in considerazione gli impieghi da 500.000 euro in su: il 4,39% dei clienti è ‘responsabile’ del 60% delle rate non pagate, vuol dire che a 22.290 soggetti corrispondono oltre 28 miliardi di sofferenze.
“Ancora troppi prestiti agli amici”, ha attaccato il segretario della FABI, Lando Maria Sileoni, che è tornato a puntare il dito anche sul ruolo delle banche, che da tempo si stanno smarcando dall’attività tradizionale di erogazione dei prestiti.
“Le banche puntano molto sulla vendita dei prodotti finanziari e poco sui prestiti. Un’attività, quest’ultima, che è ancora molto legata ai rapporti personali dei banchieri con le imprese. Insomma, c’è ancora molto credito relazionale, finanziamenti agli amici degli amici. Proprio per questo tipo di comportamenti, le sofferenze delle banche, cioè i prestiti non rimborsati, sono prodotte da pochissimi, grandi soggetti. Insomma, non sono le famiglie, con le rate dei mutui o del credito al consumo, a mettere in difficoltà le banche, ma sono 126 grandi soggetti a pesare enormemente sui bilanci delle banche. E sarebbe interessante approfondire quali sono i reali motivi che spingono le banche a rischiare così tanto verso chi poi dimostra di non avere i requisiti per non restituire i prestiti. Il Fintech consentirebbe l’accesso al credito determinato dai sistemi informatici, ma è ostacolato proprio dalle banche che vogliono continuare ad avere mani libere nell’erogazione del credito solo a determinati soggetti. Questo è un tema conosciuto da molti ma che volutamente non è stato mai affrontato con risolutezza, convinzione e determinazione”.
Nell’analisi si legge che “fra le tante profezie generate dalla crisi economica post-pandemia, quella sull’inevitabile crescita dei non performing loan è sicuramente una delle più controverse ma quello che è certo è che la clientela bancaria destinata a subire i maggiori effetti negativi non sarà più solo quella di grossa taglia bensì quella che appartiene ai settori e ai territori più vulnerabili del paese. Decine di migliaia di piccole/medie imprese e ditte familiari saranno a rischio nei prossimi anni e quando le misure d’emergenza nazionali ed europee cesseranno i loro effetti, le banche dovranno farsi trovare pronte a gestire le probabili nuove ondate di non performing loan e supportare – laddove possibile – il tessuto economico e sociale. Che sia la lezione fondamentale dell’ultima crisi economica o un business da consolidare, far fronte al nuovo ‘marcio’ che avanza sarà una necessità e non più una sfida per tutto il sistema bancario e se un cambiamento – più o meno radicale – è già avvenuto e le banche sono più attrezzate di prima, sarà importante capire il costo di un ritorno alla normalità per i 630 mila clienti (totale famiglie e imprese interessate dalla sospensione dei mutui)”.
“Con quasi 300 miliardi di euro di prestiti sottoposti a moratoria – rivela lo studio della FABI – l’Italia vanta insieme al Portogallo il primato europeo degli stop ai pagamenti. La fotografia europea delle misure di sostegno rivela che la stragrande maggioranza delle moratorie sui prestiti nei principali Paesi dell’Ue è scaduta. I prestiti in moratoria costituivano – a livello europeo – il 2,1% dei prestiti a famiglie e società non finanziarie a fine 2020, meno della metà rispetto a tre mesi prima e ben al di sotto del picco del 9% raggiunto durante l’anno. L’Italia si distingue dagli altri con il 7,7% a dicembre 2020 e il 10,3% a giugno dello stesso anno. Anche sul fronte delle scadenze, il nostro paese vanta uno scarso 34% delle moratorie concesse scaduto a fine 2020, contro l’80% in Francia e Germania e il 65% a livello europeo. Vista la quota relativamente ancora alta di prestiti ancora soggetti a moratoria e le consistenti misure di supporto alla liquidità ancora in essere è ragionevole immaginare che la qualità dei prestiti del settore bancario è destinata a ridursi già nel 2022, ma tra le inarrestabili operazioni di cessione di portafogli, ancora sostenute dagli incentivi fiscali, e una crescente attenzione alla qualità del nuovo credito, non saranno più i volumi a preoccupare come prima. La vera sfida sarà garantire una tutela equa per tutti i consumatori, la cui prima linea di difesa dal rischio di insolvenza dovranno essere le banche stesse: anticipare, gestire e non far fallire”.