Shock dazi Trump, Cottarelli avverte: ‘rischio attacco speculativo per l’Italia’
L’Italia reggerebbe uno shock dazi? Non proprio, anzi no. “L’Italia rischia una nuova recessione. E c’è chi non lo capisce“. Parola dell’ex commissario alla Spending Review Carlo Cottarelli, che lancia dalle pagine di Repubblica l’allarme Trump per l’economia italiana, dopo l’ultimo rinfocolarsi delle tensioni commerciali tra Washington e Pechino.
Uno shock dazi, spiega l’economista numero uno dell’Osservatorio dei Conti Pubblici, “rappresenta un rischio di attacco speculativo” per l’Italia, paese che arranca, ma che proprio perché arranca si trova puntualmente impreparato di fronte all’esplodere di crisi più o meno improvvise.
“Quanto accadde a partire dal crac della Lehman Brothers è irripetibile – sottolinea Carlo Cottarelli – Quello che si ripresenta puntualmente, però, è il problema della nostra fragilità”.
Ergo, la fragilità del nostro paese.
Mentre è alta la trepidazione sull’imminente verdetto che Bruxelles emetterà oggi sull’Italia, giudicando sia i progressi fatti sul percorso di riduzione del debito – nulli – che snocciolando le sue previsioni economiche primaverili, mentre il governo M5S-Lega sta ancora festeggiando la crescita da zero virgola segnata nel primo trimestre dell’anno dal Pil italiano, l’ex Commissario alla Spending Review non perdona l’atteggiamento con cui, a suo avviso, l’esecutivo giallo-verde continua a negare la realtà.
Sempre il quotidiano La Repubblica dedica inoltre nella sua edizione odierna un altro articolo firmato da Ettore Livini, sempre dedicatoalla situazione economica italiana, in particolare alla cambiale che l’Italia sarebbe costretta a pagare nell’arco di due anni.
“Il conto dell’Italia. 93 miliardi in due anni”, scrive Livini, aggiungendo:
“Pil ancor più in caduta, spread in salita, rincaro dei mutui, meno esportazioni, meno investimenti delle multinazionali dall’estero, una manovra d’autunno più difficile da realizzare senza azzoppare ancor più l’economia. La guerra dei dazi rischia di diventare uno shock, al pari di Brexit e crisi greca, in grado di mettere in ginocchio l’Italia. Il Paese potrebbe essere chiamato a pagare in un paio di anni una cambiale da 92,9 miliardi, tra effetto dazi, richieste di Bruxelles e pretesa del governo di introdurre la flat tax”.
Stavolta non è Lehman Brothers, dunque, a spaventare, ma la guerra dei dazi che le ultime dichiarazioni sotto forma di soliti tweet infuocati firmati Donald Trump riportano in primo piano. Quella guerra che alcuni davano con una certezza forse anche eccessivamente granitica, al capolinea, alla luce dei negoziati tra le controparti Usa e Cina.
E quella guerra che difficilmente potrà essere evitata, se Trump darà seguito alle sue minacce, alzando così i dazi su $200 miliardi di prodotti cinesi dal 10% al 25% nella giornata di venerdì.
Solo una minaccia o questa volta l’avvertimento di qualcosa che sta per arrivare e che mesi di negoziati tra Pechino e Washington non sono riusciti a scongiurare? Di certo, le parole proferite poche ore fa dal rappresentante al commercio Robert Ligthizer e dal segretario al Tesoro Steven Munchin non lasciano granché su cui sperare: quei due tweet di Trump non sono un’esplosione di rabbia momentanea, ma un avvertimento di un’America che sta perdendo la pazienza nei confronti della Cina di Xi Jinping. Sia Ligthizer e Mnuchin hanno infatti confermato che, in mancanza di un accordo entro venerdì, quel giorno i dazi verranno comminati.
E nel suo articolo Ettore Livini sottolinea come nessuno, in caso di escalation di guerra commerciale, scamperebbe alla furia di Trump. Tanto meno l’Italia, la cui economia dipende così tanto dall’export.
“La guerra dei dazi è già costata lo scorso anno 1,7 miliardi all’Italia. E se scoppierà su tutti i fronti comprese le sanzioni americane contro la Ue – il pedaggio potrebbe salire (stime del centro studi Confindustria) a 8,5 miliardi entro il 2021. Le scaramucce commerciali degli ultimi mesi hanno già sforbiciato la crescita mondiale, scesa dal 3,8% del primo semestre 2018 al 3,2% del secondo. E l’Fmi ha appena tagliato dello 0,4 le stime sul 2019, dando la colpa alle tensioni tra Usa, Cina ed Europa. Quali sono i rischi per il nostro Paese? Se il focolaio di crisi rimanesse isolato al braccio di ferro tra Washington e Pechino, la situazione sarebbe gestibile: secondo l’ufficio studi di Confindustria, anzi, nel primo anno di dazi il Pil italiano potrebbe avere un piccolo effetto positivo. Tendenza che si invertirebbe (di poco) in negativo nei due anni successivi. Se a fine maggio invece Donald Trump concretizzasse i dazi all’Europa gli effetti per l’Italia sarebbero ben più gravi: per Confindustria perderemmo lo 0,5 del Pil in due anni. «Il danno per la nostra manifattura è scontato», commenta Andrea Montanino, capo economista di Viale dell’Astronomia”.
Ovviamente, lo scotto pagato dall’export con un eventuale shock dazi sarebbe notevole per una economia come quella italiana. Ancora Ettore Livini:
“I focolai di guerra commerciale rischiano di far pagare all’Italia – che vende all’estero il 50% di quello che produce – un pedaggio salato. Uno studio interno di Prometeia stima (nello scenario peggiore di un conflitto tariffario globale) un calo delle esportazioni italiane del 2%. In soldoni, circa 9 miliardi. Un effetto “incertezza”, del resto, si vede già oggi. La crescita dell’export verso gli Stati Uniti è passata dal +8,6% del 2017 al +5% del 2018. Quella verso la Cina ha addirittura cambiato segno algebrico, passando dal +15,7% al – 1,4%”.
Insomma, in questo quadro sempre più incerto, capace di cambiare da un giorno all’altro con un semplice tweet di Donald Trump, quali munizioni ha l’Italia con crescita da zero virgola per difendersi? E’ questa sorta di leggerezza nel non valutare in modo appropriato i pericoli che l’economia italiana corre che Carlo Cottarelli contesta all’ignaro governo M5S-Lega.
Che, su come uno shock dazi possa rappresentare “un rischio di attacco speculativo” nei confronti dell’Italia, spiega:
“Qualsivoglia fattore di indebolimento del ciclo economico mondiale, tipo il rallentamento della crescita americana, farebbe tornare il nostro Paese in recessione. E lo dico in particolare considerando la fase nella quale ci troviamo proprio adesso, perché i dati statistici mostrano che sono solo le esportazioni a trainare la nostra economia, mentre la domanda interna langue. Dunque una eventuale guerra commerciale sarebbe per noi davvero pesante”.
Non la situazione ideale per un paese già ostaggio dello spread, ricorda Livini:
“Gli shock geopolitici come la guerra dei dazi o la Brexit generano incertezza. La conseguenza è normalmente un aumento dei tassi d’interesse e una maggiore vulnerabilità per chi ha debiti, dalle aziende alle famiglie. Fino ad oggi, sebbene le misure protezionistiche siano state più minacciate che attuate, l’effetto c’è stato: sul commercio mondiale, sul Pil e sugli investimenti esteri delle multinazionali. Un ennesimo colpo sui mercati finanziari, innescato da una escalation del confronto Usa-Cina, potrebbe surriscaldare lo spread: attualmente veleggiamo intorno a quota 260, se si salisse di 100 punti in più il costo in termini di tassi d’interesse per i conti pubblici, secondo Antonio Forte del Cer, sarebbe di quasi 750 milioni per la restante parte di quest’anno e 7,7 per il prossimo biennio 2020-2021 (complessivamente 8,45 miliardi)”.