Rischio bolla green: rincorrere gli asset verdi di moda oggi non è sempre l’approccio giusto per vincere nel lungo periodo
Nel pieno della lotta al cambiamento climatico, anche gli investimenti si fanno green e non è un caso se sui mercati finanziari si sta assistendo a una corsa dei titoli legati alla transizione energetica e alla decarbonizzazione. Basta pensare all’azione Tesla, letteralmente esplosa: se nel gennaio 2020 quotava a 88,60 dollari, un anno dopo, nel gennaio del 2021 ha toccato il massimo di 880 dollari (ora scambia intorno ai 625 dollari). Ma attenzione, perchè questo interesse potrebbe diventare infatuazione e tra gli esperti c’è chi non esclude addirittura il rischio di una bolla speculativa sugli asset verdi. A mettere la pulce nell’orecchio è Wolfgang Fickus, CFA, Product Specialist di Comgest, in una analisi intitolata proprio “Occhio alla bolla green”.
“Anche se uno dei ruoli dei mercati finanziari è quello di prendere rischi per finanziare il futuro, la crescita e l’innovazione, bisogna valutare se oggi non ci stiamo muovendo troppo velocemente sui titoli green“, avverte l’esperto, guardando al passato e ricordando il motivo dello scoppio della bolla tecnologica nel 2000: sebbene gli investitori avessero ragione, soprattutto per quanto riguarda il fortissimo potenziale dell’ecommerce, si era troppo avanti, da cinque a dieci anni in anticipo, perché né le infrastrutture né il consumatore erano pronti per queste nuove tecnologie.
E se l’onda verde di oggi fosse simile all’euforia che ha fatto schizzare i titoli tecnologici all’epoca, con l’esito che sappiamo? L’esperienza insegna che a volte è meglio diffidare dalle mode e secondo l’esperto di Comgest investire nei titoli green di oggi non è necessariamente il modo migliore per contribuire alla decarbonizzazione dell’economia e per avere successo negli investimenti finanziari a lungo termine. Il suo suggerimento è adottare invece un approccio bottom-up, che consiste nel valutare il rendimento potenziale e la considerazione delle questioni climatiche azienda per azienda. In questo modo, spiega, si evita di essere sedotti da ciò che è “alla moda” e si individuano i futuri vincitori di una crescita a lungo termine rispettosa dell’ambiente. Questo approccio può anche portare a investire in attori della old economy che, con una lunga storia di innovazione, potrebbero fornire soluzioni per ridurre l’impronta di carbonio delle loro attività. Anche il sostegno alle aziende che riducono l’intensità di carbonio delle industrie inquinanti può essere cruciale per uno sforzo climatico di successo.
Ma al di là della selezione dei titoli da includere nel portafoglio, anche gli stessi mercati finanziari, gli investitori e gli asset manager possono dare un contributo importante per accelerare il cambiamento nel mondo corporate e combattere il riscaldamento globale a lungo termine. È il caso dell’appello al governo brasiliano da parte di alcuni player del risparmio gestito, che corrispondono a un totale di 4.000 miliardi di dollari (circa 3.265 miliardi di euro) di asset in gestione, per fermare la deforestazione in Amazzonia. Un altro esempio è il Carbon Disclosure Project (CDP), che riunendo 600 investitori, mira a ridurre il consumo di acqua, frenare la deforestazione e identificare i rischi climatici attraverso le 9.600 aziende in tutto il mondo che hanno già risposto ai suoi appelli.
Insomma, non c’è una soluzione miracolosa – conclude l’esperto – anche se l’esplosione dei titoli green sul mercato azionario vorrebbe farcelo credere.