Procedura infrazione e incubo sanzioni, hedge fund avverte: ‘debito non scenderebbe, nessun effetto deterrente’
Il mondo degli economisti si interroga sull’effetto che eventuali sanzioni europee contro l’Italia potrebbero avere sul debito sovrano del paese e sul trend dei BTP sul mercato secondario. Vale la pena ricordare che la procedura di infrazione per debito eccessivo contro Roma non è stata ancora lanciata: piuttosto, la scorsa settimana, la Commissione europea ha raccomandato al Consiglio europeo di avviarla, in quanto, a suo avviso, giustificata.
Il verdetto arriverà molto probabilmente il prossimo 9 luglio, quando i ministri delle Finanze dei 28 stati appartenenti all’Unione europea si riuniranno a Bruxelles, in occasione del consueto meeting che si tiene ogni mese.
Sarà allora che i ministri annunceranno se avranno deciso o meno di aprire formalmente la procedura disciplinare contro l’Italia.
In quel caso, diverse sarebbero le conseguenze di cui il governo M5S-Lega dovrebbe farsi carico, che vedrebbero come mittente i diktat della Commissione europea: a Roma potrebbe venir chiesto di varare misure di austerity immediate, fatte di tasse più alte e di tagli alla spesa, al fine di correggere entro i successivi tre-sei mesi la deviazione dai vincoli di bilancio stabiliti dall’Unione europea.
La Commissione avrebbe tempo fino al 29 luglio per decidere quali sanzioni comminare all’Italia. Nel caso in cui venisse rilevata una violazione “grave” delle regole Ue, Bruxelles potrebbe imporre l’apertura di un deposito senza interessi pari allo 0,2% del Pil, per un valore di 3,5 miliardi. Si tratterebbe della multa più grande mai imposta finora dall’istituzione.
Se l’Italia si rifiutasse di collaborare, la sanzione potrebbe salire fino allo 0,5% del Pil e unirsi al taglio dei prestiti da parte della European Investment Bank per miliardi di euro. Ancora, l’Ue diventerebbe una sorta di Grande Fratello che monitorerebbe i piani dell’Italia volti a emettere debito.
Altro che caparra, trattenuta dalla Commissione europea dopo aver detto sì alla manovra per il 2019 del governo M5S-Lega. Già allora, alla fine del 2018, nel decidere di risparmiare al paese l’avvio dell’iter per lanciare una procedura di infrazione, l’Europa aveva di fatto sequestrato all’Italia due miliardi. E il rischio di sanzioni contro l’Italia non era stato sventato mai del tutto.
Proprio la paura delle sanzioni, fanno notare alcuni economisti che sono stati intervistati da Forbes, potrebbe – così come è accaduto esattamente alla fine del 2018 far fare qualche passo indietro ai due vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini, sempre in prima linea pronti ad aggredire Bruxelles, stavolta però costretti (forse) al silenzio anche dall’ennesimo ultimatum del premier Conte: “Tratto io con l’Europa o mollo”.
Tra gli economisti si mette in evidenza Michael Lewitt, responsabile degli investimenti presso l’hedge fund sul credito Third Friday Management LLC, che non è d’accordo sull’effetto potenzialmente frenante sul debito che le sanzioni avrebbero sull’Italia.
Lewitt ritiene infatti che “tutte le sanzioni aumentano il debito” e che “spetta ai politici italiani risolvere il problema”. Certo – continua – “è molto difficile per loro riuscire a tagliarlo a causa dei costi enormi ereditati, relativi alla sanità pubblica, alle pensioni etc”.
Il manager crede in ogni caso che “il cammino più promettente sarebbe rappresentato da politiche pro-crescita – come meno leggi e restrizioni sul lavoro, la riduzione delle tasse, regolamentazioni dell’ambiente in modo ragionevole e incentivi per attrarre talenti e business. Le sanzioni, a suo avviso, avrebbero invece l’effetto di “portare in Italia una nuova austerità” e di “provocare un calo della spesa, che danneggerebbe l’economia”.
Marco Wagner, economista senior presso Commerzbank, interpellato anche lui da Forbes, è invece dell’idea che anche solo la minaccia delle sanzioni possa ricondurre l’Italia sulla strada giusta.
Wagner ricorda le trattative tra Roma e Bruxelles della fine del 2018, sottolineando che “siamo stati testimoni, lo scorso anno – e anche quando Salvini e Di Maio continuavano a dire che non era vero – di un governo italiano che, a causa della reazione del mercato – spread più alto, minaccia di sazioni europee -, alla fine ha ritirato la proposta di legge di bilancio, rivedendola, senza così dar seguito a tutte quelle promesse che in precedenza aveva garantito di realizzare”.
Secondo Wagner, dunque, la minaccia di sanzioni avrebbe davvero un effetto deterrente sulla crescita del debito.
L’economista prevede comunque “molte turbolenze nelle prossime settimane e prossimi mesi”, a causa dello scontro previsto tra Roma e Bruxelles. Le turbolenze diminuiranno quando “il governo italiano deciderà in parte di cedere, e altrettanto farà l’Unione europea, scegliendo di non attivare la procedura di infrazione”.
Sanzioni: se Italia farà di testa sua rischia accesso mercato
Come reagirebbero invece i BTP e, in generale, i bond italiani, nel caso di sanzioni?
Christoph Rieger, responsabile della strategia dei tassi e della ricerca sul credito presso Commerzbank AG prevede che è possibile che gli investitori diventino, ovviamente, “più cauti sui bond italiani”.
In ogni caso, “non sono i costi economici a causare il problema ma, piuttosto, i costi politici, perchè gli italiani e sicuramente il governo si sentirebbero oltraggiati a essere colpiti dalle sanzioni per non aver rispettato quelle politiche che ritengono essere sbagliate e imposte da Bruxelles”.
Di conseguenza, il valore dei bond sovrani potrebbe essere colpito da questi costi politici, laddove l’esecutivo “iniziasse ad affrontare apertamente l’Ue: il rischio sarebbe l’escalation (delle tensioni), caratterizzata da downgrade (da parte delle agenzie di rating) e dal pericolo che l’Italia perda l’accesso al mercato. Praticamente, rendimenti più alti equivarrebbero alla chiusura dei mercati”
Dello stesso avviso Carlo Altomonte, professore associato presso l’Università Bocconi, secondo cui il rischio principale di una battaglia diretta tra il governo italiano e la Commissione sarebbe “un aumento delle pressioni politiche” sull’Italia, che potrebbe anche sfociare nella decisione della maggioranza di “capitalizzare su questo incidente”, e dunque di arrivare a una risposta alle sanzioni potenzialmente “distruttiva”.
Altomonte ritiene inoltre che il prossimo 9 luglio, la riunione del Consiglio europeo potrebbe ufficializzare l’avvio di una procedura di infrazione.
Sanzioni o non sanzioni, è probabile che alla fine l’Italia decida di concordare su un piano che abbia come obiettivo prioritario la riduzione del debito, non però in linea con tutti i desiderata dell’Ue. Altomonte crede tra l’altro che sia possibile che l’Italia riesca a varare un piano capace di centrare i livelli stabiliti dall’Unione europea, sebbene si tratti di un “lavoro lungo e difficile”.
Il piano dovrebbe a suo avviso essere “graduale nel corso del tempo e molto credibile”. Ciò implica che si dovrebbe trattare di un programma “immune alle azioni di eventuali nuovi governi”.
Rieger di Commerzbank mette comunque in evidenza che, il fatto che l’Italia non abbia il controllo sulla propria moneta – così come accade a tutti gli altri paesi dell’area euro, che devono sottostare alla Bce – le impedisce anche di poter contare sull’aiuto della Banca centrale.
Più esattamente, lo strategist ricorda che la famosa frase di Draghi “Whatever it takes” è soggetta comunque a una precisa condizione: ovvero “solo se il governo (in questione) accetta alcune disposizioni”.
Tuttavia, continua Rieger, visto che “questa non è la strada che l’esecutivo italiano desidera prendere”, la Bce avrà le mani legate, in quanto anche un eventuale salvataggio attraverso una operazione di bailout, richiederebbe il rispetto di alcune norme stabilite dall’Ue. E se l’Italia non le rispetterà, sparirà anche l’opzione del bailout.