Notizie Notizie Italia Poveri assoluti in Italia salgono oltre i 4 milioni e mezzo nel 2012, è record dal 2005

Poveri assoluti in Italia salgono oltre i 4 milioni e mezzo nel 2012, è record dal 2005

17 Luglio 2013 09:43

Nel 2012 in Italia il numero di persone che vivono in povertà relativa è aumentato a 9 milioni e 563mila, pari al 15,8% della popolazione mentre quelle in povertà assoluta sono risultate pari all’8%, ossia 4 milioni 814 mila, dal 5,7% rilevato nel 2011, certificando così un record dal 2005.  E’ quanto emerge dati dai diffusi dall’Istat, secondo cui è aumentata tra il 2011 e il 2012 sia l’incidenza di povertà relativa (dall’11,1% al 12,7%) sia quella di povertà assoluta (dal 5,2% al 6,8%), in tutte e tre le ripartizioni territoriali. L’Istat precisa che la soglia di povertà relativa, per una famiglia di due componenti, è pari a 990,88 euro, circa 20 euro in meno di quella del 2011 (-2%).

L’incidenza di povertà assoluta aumenta tra le famiglie con tre (dal 4,7% al 6,6%), quattro (dal 5,2% all’8,3%) e cinque o più componenti (dal 12,3% al 17,2%); tra le famiglie composte da coppie con tre o più figli, quelle in povertà assoluta passano dal 10,4% al 16,2%; se si tratta di tre figli minori, dal 10,9% si raggiunge il 17,1%. Aumenti della povertà assoluta vengono registrati anche nelle famiglie di monogenitori (dal 5,8% al 9,1%) e in quelle con membri aggregati (dal 10,4% al 13,3%). Oltre che tra le famiglie di operai (dal 7,5% al 9,4%) e di lavoratori in proprio (dal 4,2% al 6%), la povertà assoluta aumenta tra gli impiegati e i dirigenti (dall’1,3% al 2,6%) e tra le famiglie dove i redditi da lavoro si associano a redditi da pensione (dal 3,6% al 5,3%). Tra il 2011 e il 2012, evidenti segnali di peggioramento si rilevano in tutte le ripartizioni geografiche: l’incidenza di povertà è passata dal 4,9% al 6,2% nel Nord, dal 6,4% al 7,1% nel Centro e dal 23,3% al 26,2% nel Mezzogiorno.

L’unico segnale di miglioramento si osserva in termini relativi per le persone anziane sole (l’incidenza passa dal 10,1% all’8,6%), probabilmente anche perché hanno un reddito da pensione, per gli importi più bassi adeguato alla dinamica inflazionistica.