Pil Italia rivisto al ribasso per il 2025: le nuove stime di Confindustria. Tassi e PNRR: tra le note positive

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Mentre i mercati attendono con il fiato sospeso l’annuncio del presidente Donald Trump sui dazi, nel Liberation Day previsto per oggi, mercoledì 2 aprile, arriva la fotografia sull’economia italiana scattata Confindustria. E la situazione è tutt’altro che rosea.
Nel Rapporto di previsione – Primavera 2025 del Centro Studi Confindustria “Energia, Green Deal e Dazi: gli ostacoli all’economia italiana ed europea”’ si mette in evidenza come l’Italia è vista rallentare nel 2025 con il Pil che è atteso crescere a +0,6% rispetto al +0,9% indicato lo scorso ottobre. Nel 2026, invece, si attende uno slancio a +1,0%. Ma andiamo per ordine.
Economia tricolore rallenta nel 2025: i fattori negativi
Secondo quanto stima il Centro Studi di Confindustria, nel Rapporto di previsione – Primavera 2025, per l’anno in corso si registra una revisione al ribasso di 0,3 punti percentuali ascrivibile, in larga parte, alla debolezza della seconda metà del 2024 e al peggioramento del quadro macroeconomico nel quale si contrappongono forze di segno opposto.
Tra i fattori negativi che pesano sull’economia italiana, come sottolinea il Centro Studi di Confindustria, troviamo la mancanza di sostegno agli investimenti in impianti e macchinari poiché il Piano Transizione 5.0 si è rivelato poco efficace nel 2024 e dovrebbe incidere poco anche nel 2025. Pesa anche l’ennesimo rincaro dell’energia, che non tocca i picchi del 2022, ma minaccia la competitività delle imprese italiane e riduce il reddito reale delle famiglie.
Ma soprattutto, l’ondata di dazi annunciata dall’Amministrazione Trump, a cui l’economia italiana è particolarmente esposta, visto che gli USA sono il secondo mercato per i nostri beni.
L’effetto dei dazi sull’Italia? Le previsioni di Confindustria
Lo scenario di previsione del Centro Studi incorpora esclusivamente l’aspetto legato all’impennata dell’incertezza causata dagli annunci di dazi, con l’ipotesi che duri per la prima metà del 2025. Se persistente, rappresenterebbe un forte limite alla crescita, in quanto influirebbe negativamente sulle decisioni di investimento domestiche e internazionali. Ma non include l’effetto di ulteriori dazi e contro dazi.
A causa dei ripetuti annunci sui dazi, scrive il CsC, gli indici di incertezza economica e politica sono al loro massimo assoluto all’inizio del 2025 e ciò influisce negativamente sulle decisioni di investimento, con grave pregiudizio per gli scambi lungo le filiere produttive globali.
Dal 2022, ricorda il Centro studi, sono state varate a livello mondiale più di 3.400 misure protezionistiche all’anno, quasi 3.000 in più rispetto a quelle introdotte prima del 2020. “Un’eventuale escalation protezionistica, generata da ritorsioni tariffarie tra le principali economie mondiali, minerebbe la struttura stessa degli scambi e della produzione internazionali, con profonde ricadute sul PIL globale” si legge nel Rapporto.
In particolare a livello settoriale, i settori industriali italiani più esposti sono bevande, farmaceutica, autoveicoli e altri mezzi di trasporto.
La reintroduzione dei dazi USA su acciaio e alluminio al 25%, secondo stime del Centro Studi Confindustria, porterà inoltre ad un calo medio di circa -5% dell’export di acciaio e alluminio negli Stati Uniti, con un impatto macroeconomico minimo (circa -0,02% dell’export italiano di beni).
Infine, secondo il Rapporto, lo scenario peggiore di un’eventuale escalation protezionistica che comporti un persistente, invece che temporaneo, innalzamento dell’incertezza (+80% sul 2024), l’imposizione di dazi del 25% su tutte le importazioni USA, comprese quelle dall’Europa, e del 60% dalla Cina e l’applicazione di ritorsioni tariffarie sui beni di consumo USA esportati, avrebbe un impatto cumulato negativo sul PIL italiano, misurato come scostamento rispetto allo scenario base, del -0,4% nel 2025 e del -0,6% nel 2026.
Tassi, reddito e PNRR: le note positive
Ma qualche nota positiva comunque c’è. Ad esempio nel biennio 2025-2026 proseguirà il taglio dei tassi da parte della BCE, che entro fine 2025 porterà la politica monetaria al livello neutrale.
Poi risale il reddito disponibile reale totale delle famiglie, grazie al progressivo recupero delle retribuzioni pro-capite, il buon contributo dei redditi non da lavoro, l’aumento dell’occupazione totale, il calo dell’inflazione, sebbene gli ultimi due fenomeni si attenueranno nel 2025 e 2026.
Infine, l’implementazione del PNRR, il Piano Nazionale di Resistenza e Resilienza. Tra il 2025 e il 2026 le risorse programmate ammontano a circa 130 miliardi e anche se non verranno spese tutte (l’ipotesi è che ne venga spesa la metà, 65 miliardi), dice il CsC, daranno un importante contributo al PIL, in particolare agli investimenti in costruzioni, frenati dal venire meno degli incentivi all’edilizia residenziale.