Il petrolio si ferma sulla soglia dei 90 dollari al barile
La campanella degli 89 dollari al barile è suonata al Nymex di New York nella seduta di ieri e ha segnalato il nuovo record del prezzo del Wti. Spinto dalle tensioni politiche internazionali che hanno come epicentro il Medio oriente, l’oro nero sembra stavolta voler rispettare la previsione degli analisti che lo vedono a quota 100 dollari entro la fine dell’anno.
L’arretramento di circa 2 dollari al barile avvenuto nel corso della notte europea sarebbe, da questo punto di vista, solo una pausa sulla strada che porta verso nuovi record anche se in parte determinato dalla possibilità, ventilata ad un’agenzia di stampa dal ministro del petrolio nigeriano, Ajumogobia, che le quote produttive dell’Opec vengano ritoccate al rialzo. Bisognerebbe comunque aspettare l’incontro del 17 novembre prossimo tra i capi di Stato dei Paesi membri per vedere verificata una tale ipotesi. In ogni caso non si può ancora parlare di un cambiamento di prospettiva ufficiale per il cartello dei Paesi produttori, schierato sul fronte opposto rispetto ai “rialzisti”.
L’Opec attribuisce la causa dei recenti picchi del prezzo della materia prima alla speculazione, che si sarebbe inserita in uno scenario considerato “buono” per i rifornimenti di greggio e ritiene quindi sufficiente l’incremento produttivo di 500.000 barili al giorno che entrerà in vigore a partire dal primo novembre. Non la pensano così al Fondo monetario internazionale, iscrittosi ieri alla lista dei rialzisti con il World economic outlook. Secondo gli esperti dell’Fmi la domanda di petrolio dei Paesi emergenti contribuirà a mantenere le quotazioni “sui livelli attuali fino alla conclusione del prossimo anno” a causa dell’inadeguata capacità di raffinazione disponibile e dell’elevata incertezza.
Il dato sulle scorte di petrolio negli Stati Uniti reso noto ieri sembra confermare a prima vista la posizione dell’Opec con un incremento settimanale di 1,2 milioni di barili sensibilmente superiore alle attese degli analisti (0,9 milioni). Nasconde in realtà un calo medio di 360.000 barili al giorno nel corso del terzo trimestre dell’anno, che si confronta con una crescita di circa 260.000 nello stesso periodo in media negli ultimi dieci anni. Il tutto avviene in un periodo che precede la stagione invernale e prima del quarto trimestre durante il quale le scorte sono attese in ulteriore riduzione.
In tale scenario le forniture non appaiono così “buone” come l’Opec sembra voler far credere e potrebbero portare a tensioni sul mercato del petrolio pronte a innescarsi per fattori quali attese di un inverno più rigido, incrementarsi di tensioni internazionali e interruzioni della produzione nelle zone più politicamente instabili del pianeta. Da questo punto di vista va ricordata la decisione presa ieri dal Parlamento turco che ha autorizzato interventi militari nel nord dell’Iraq contro le postazioni dei ribelli curdi che lottano per la creazione di uno stato indipendente.
Su tali tensioni ha gioco facile la speculazione che, secondo il presidente dell’Unione petrolifera, Pasquale De Vita, potrebbe essere bloccata proprio dall’Opec con un incremento della produzione giornaliera di petrolio. In tal modo potrebbe verificarsi il secondo scenario, quello di chi prevede una correzione dei prezzi del petrolio anche piuttosto netta, in direzione dei 70/60 dollari al barile. L’arretramento dei prezzi potrebbe infatti costringere gli speculatori a ritirare la mano dal mercato.