Notizie Valute e materie prime Petrolio: Iraq e Russia dietro il nuovo crollo dei prezzi, Citi taglia la view sul 2015

Petrolio: Iraq e Russia dietro il nuovo crollo dei prezzi, Citi taglia la view sul 2015

5 Gennaio 2015 15:37

La debolezza del contesto macroeconomico, il boom della produzione statunitense e la poca voglia dei Paesi Opec di toccare i livelli produttivi. Questi i fattori che negli ultimi 12 mesi hanno fatto perdere ai prezzi del petrolio il 48% e che stanno penalizzando le quotazioni anche nelle prime sedute del nuovo anno. Dal fronte macro, le ultime indicazioni arrivate dagli indici Pmi (Purchasing managers index, l’indice dei direttori agli acquisti) manifatturieri di Cina e Europa, il primo dato è sceso ai minimi da un anno e il secondo è cresciuto meno delle attese, hanno confermato che il rilancio della domanda di prodotti petroliferi non è imminente.

Domanda debole e offerta abbondante
Nonostante margini decisamente ristretti, l’offerta statunitense, almeno nel breve termine, non dovrebbe risentire del crollo dei prezzi. Questo perché nel corso degli anni all’aumento di produttività dei giacimenti si è associato un calo generalizzato dei costi (nuove tecniche permettono di “frantumare” con un minor dispendio di acqua e sabbia e particolari trivelle consentono di perforare più pozzi contemporaneamente). Oggi, stando ai dati ufficiali diffusi dalle autorità del North Dakota, lo stato dove si produce più greggio da fonti non convenzionali, servono 42 dollari per estrarre un barile di petrolio e nella contea McKenzie, dove si trova il 40% dei giacimenti, ne bastano 30.

Dal fronte Opec l’indisponibilità saudita a cedere quote di mercato sta spingendo il primo esportatore mondiale ad offrire greggio con sconti che non si vedevano da 14 anni. Nelle ultime sedute nuove spinte ribassiste per i prezzi sono arrivate da Iraq, il secondo produttore all’interno del cartello, e dal primo produttore globale, la Russia. Da Baghdad un portavoce del Ministero del Petrolio ha fatto sapere di voler portare le esportazioni dai 2,94 milioni di barili di dicembre, il livello maggiore dal 1980, a 3,3 milioni di barili giornalieri. Indicazioni simili quelle arrivate da Mosca che a dicembre ha visto l’output salire a 10,67 milioni di barili giornalieri, il dato maggiore dal 1988, ossia da quando l’Urss non si era ancora sgretolata.

Quotazioni ai minimi dal 2009
In un contesto simile i prezzi stanno aggiornando i minimi da sei anni: il Brent si è spinto fino a 53,75 dollari il barile e il Wti (il petrolio di riferimento negli Usa) è sceso a toccare i 50,55 dollari. Citigroup oggi ha annunciato di aver ridotto la view 2015 sul Brent da 80 a 63 dollari mentre la stima relativa il Wti passa da 72 a 55 dollari. Cauto ottimismo sull’andamento dei prezzi è stato espresso dagli analisti di Edmond de Rothschild, secondo cui “i prezzi del petrolio rimarranno volatili nel breve termine ma dovrebbero, nel medio periodo, trovare un livello di bilanciamento grazie al rallentamento della produzione nei Paesi non-Opec e a un aumento della domanda mondiale”.