Notizie Valute e materie prime Balzo petrolio: i rischi per l’inflazione e l’impatto sulla politica monetaria

Balzo petrolio: i rischi per l’inflazione e l’impatto sulla politica monetaria

Pubblicato 4 Aprile 2023 Aggiornato 5 Aprile 2023 09:05

Le quotazioni del petrolio arrotondano i guadagni della seduta precedente, innescati dal taglio a sorpresa della produzione da parte dell’Opec+. Wti e Brent avanzano di circa l’1% rispettivamente a 81,2 e 85,7 dollari al barile. Il rialzo dell’oro nero ha riacceso i timori legati alle persistenti pressioni inflazionistiche, che rischiano di costringere le banche centrali a mantenere la politica monetaria ancora restrittiva a lungo. Vediamo perché.

Il taglio dell’Opec+ alla produzione di petrolio

Nella riunione di questo fine settimana l’Opec+ ha annunciato a sorpresa un taglio della produzione di greggio di 1,15 milioni di barili al giorno a partire da maggio fino alla fine dell’anno, volto a sostenere le quotazioni del petrolio.

L’Arabia Saudita ridurrà la sua produzione di 500.000 barili al giorno, l’Iraq di 211mila barili, gli Emirati Arabi di 148mila, il Kuwait di 128mila, il Kazakstan di 78mila e l’Oman di 40mila barili. Inoltre, la Russia ha esteso fino a fine 2023 il taglio da mezzo milione di barili di petrolio precedentemente previsto fino a giugno.

Il tutto, per un totale di 1,6 milioni di barili al giorno in meno di petrolio sul mercato tra luglio e dicembre, pari all’1,6% dell’offerta globale. Il consumo globale di petrolio si attesta a circa 100 milioni di barili al giorno.

La reazione delle autorità: Janet Yellen

La decisione dell’Opec+ è stata fortemente criticata dal Segretario al Tesoro statunitense Janet Yellen, che ha parlato di una scelta “non costruttiva, in un momento nel quale l’inflazione è già elevata ed è importante cercare di tenere i prezzi energetici bassi”.

Il taglio della produzione rischia quindi di aggiungere un ulteriore fattore di incertezza per la crescita globale e complicare il compito delle banche centrali, impegnate a riportare sotto controllo l’inflazione.

Per il momento, la Yellen ha respinto l’idea che l’aumento dei prezzi del petrolio possa costringere gli Stati Uniti e i suoi alleati ad adeguare il price cap di 60 dollari al barile fissato per il petrolio russo trasportato da compagnie occidentali verso paesi terzi.

Bullard (Fed): “decisione inaspettata, impatto da valutare”

Anche il presidente della Federal Reserve Bank di St. Louis, James Bullard, ha parlato di una decisione “inaspettata” e ha ribadito che un aumento dei prezzi del petrolio potrebbe rendere più impegnativo il compito della Fed nel contrastare l’inflazione.

Se i tagli avranno un impatto duraturo, resta “una questione aperta”, ha aggiunto Bullard, che quest’anno non vota sulla politica monetaria. “I prezzi del petrolio oscillano ed è difficile tracciarli esattamente, ma potrebbero alimentare l’inflazione e complicare il nostro lavoro”.

Pur riconoscendo la potenziale importanza del cambiamento, Bullard ha anche affermato che un aumento dei prezzi del petrolio quest’anno è ad ogni modo coerente con le prospettive economiche relative ad una maggiore domanda di energia. “Mi sarei comunque aspettato prezzi del petrolio leggermente più alti, con la riapertura della Cina, l’Europa che sfiora la recessione e dati forti negli Stati Uniti, tutti fattori piuttosto rialzisti per il mercato petrolifero”.

Il presidente Usa Biden smorza i timori

Il presidente americano Joe Biden ha invece minimizzato l’impatto dei tagli, affermando che “non sarà così grave come si pensa”. Una dichiarazione probabilmente dettata, in parte, dalla volontà di non inasprire ulteriormente i rapporti con l’Arabia Saudita.

La Casa Bianca ha reso noto che non ritiene la mossa consigliabile in questo momento, data l’incertezza del mercato, ma ha sottolineato che la riduzione della produzione si verifica in un “ambiente diverso” rispetto allo scorso ottobre, quando l’OPEC+ tagliò la sua produzione di 2 milioni di barili al giorno poche settimane prima delle elezioni di medio termine negli Stati Uniti, spingendo Biden a giurare conseguenze.

L’outlook degli analisti sul petrolio

Diversi broker ritengono che i prezzi del greggio possano riportarsi intorno ai 100 dollari al barile, complice la riapertura delle attività in Cina dopo i lockdown dovuti al Covid.

L’aumento dei prezzi del carburante, in particolare del diesel, peserebbe su imprese e consumatori, aumentando i costi dei viaggi e dei trasporti, in particolare quelli delle reti di navigazione che sono alla base delle catene di approvvigionamento globali.

Dall’altro lato, l’impennata temuta potrebbe anche non materializzarsi del tutto, come accaduto questo autunno, quando i fatti hanno dato ragione alle previsioni dell’Opec+ secondo cui i tagli erano giustificati da un indebolimento della domanda.

Da sottolineare anche che Washington ha prelevato più di 180 milioni di barili dalle riserve strategiche per stabilizzare i prezzi, ma a un certo punto dovrà acquistare nuovamente petrolio per ricostituire le scorte.

L’importanza dei prezzi energetici per l’inflazione nell’eurozona

I prezzi dell’energia rappresentano una delle componenti più importanti dell’inflazione. A febbraio Bankitalia ha pubblicato un report dal titolo “La trasmissione dei prezzi dell’energia all’inflazione nell’area dell’euro”.

Lo studio analizza gli andamenti dei prezzi delle materie prime energetiche dalla metà del 2021 e ne misura la trasmissione all’inflazione al consumo nell’area dell’euro e nei suoi maggiori paesi. Si considerano sia gli effetti diretti sia quelli indiretti che agiscono attraverso l’impatto sulla componente di fondo e sui prezzi dei beni alimentari.

Secondo l’abstract del report, l’eccezionale shock energetico ha contribuito al rialzo dell’inflazione complessiva in modo rilevante, nonostante una contenuta elasticità della componente di fondo ai prezzi energetici. Nella media dei primi nove mesi del 2022 l’aumento dei prezzi dell’energia spiega direttamente o indirettamente circa il 60 per cento dell’inflazione nell’area dell’euro. Queste evidenze sono qualitativamente simili tra i maggiori paesi dell’area, seppure con alcune eterogeneità quantitative.

Inflazione e politica monetaria Bce

Ricordiamo che a marzo l’indice dei prezzi al consumo della zona euro ha rallentato la crescita annua al 6,9%, dall’8,5% di febbraio, con un calo quasi esclusivamente dovuto ad una riduzione dei prezzi energetici rispetto al mese di marzo 2022 (da +13,7% a -0,9%), quando erano aumentati a seguito dell’invasione russa in Ucraina. L’inflazione core, depurata dai prezzi energetici e alimentari, ha invece accelerato al 5,7%.

La Bce ha più volte ribadito che l’inflazione resta troppo elevata e nell’ultima riunione, a marzo, ha decretato un rialzo dei tassi da 50 punti base per contrastare le persistenti pressioni al rialzo sui prezzi.

Il rischio è che un nuovo aumento dei prezzi energetici possa rendere le pressioni inflazionistiche più difficili da estirpare, prolungando la politica restrittiva della Bce, con nuovi aumenti dei tassi e potenziali conseguenze negative per la crescita economica della regione.