Notizie Notizie Mondo Peggio della crisi subprime. Retail: la grande puntata short degli hedge fund

Peggio della crisi subprime. Retail: la grande puntata short degli hedge fund

17 Luglio 2017 15:00

La prossima grande scommessa short degli hedge fund sarà il settore retail Usa. E’ quanto scrive il Financial Times, ricordando come l’e-commerce e la trasformazione delle abitudini di shopping degli americani stiano rimodellando profondamente l’industria dei consumi. Tanto che, come emerge dai dati di Standard & Poor’s, sono almeno dieci le aziende retail Usa già cadute in disgrazia, e ormai in bancarotta.

Perfino Sears Canada, (che fa capo a Sears Holding) travolta da una forte contrazione di liquidità, è stata costretta a far ricorso all’equivalente canadese del Chapter 11, ovvero all’amministrazione controllata, annunciando a fine giugno la chiusura di 44 dei suoi 200 plus store e il licenziamento di quasi 3.000 dipendenti.

Una ghiotta occasione per gli hedge fund? Così, intervistato dal Financial Times, Stephen Ketchium, responsabile di Sound Point Capital, commenta il fenomeno:

“Crediamo che la potenza di questa (scommessa short) possa essere superiore a quella che prese di mira i mutui subprime. Andate sul sito di Amazon e digitate la parola “batterie”. Quella che vedrete è solo la punta dell’iceberg del futuro. E il retail è il Titanic“.

Anche in questo caso, come in quello della grande crisi finanziaria, e in tutti gli choc precedenti che hanno messo in ginocchio l’economia, il problema è nato dall’euforia.

Euforia dei costruttori, che si è tradotta in una smisurata crescita del numero dei negozi, in un contesto in cui era evidente che l’e-commerce stava prendendo il sopravvento.

Ciò ha creato una bolla, come nel settore immobiliare, e quella bolla ora è esplosa – ha continuato Richard Hayne, amministratore delegato di Urban Outfitters, in un’intervista rilasciata all’FT – I risultati ce li abbiamo sotto gli occhi: le saracinesche si abbassano e gli affitti scivolano. Tale trend continuerà ancora e potrebbe anche accelerare il passo”.

L’outlook di Credit Suisse è poi da brividi: la divisione di ricerca del colosso bancario svizzero prevede che, nel corso di quest’anno, potrebbero chiudere fino a 8.640 negozi negli Usa, con conseguenze da incubo per i lavoratori del settore.

D’altronde, come riporta il Bureau of Labor Statistics, il settore retail Usa ha assistito alla perdita, in media, di 9.000 posti di lavoro al mese dall’inizio dell’anno, rispetto alla crescita +17.000 posti di lavoro, su base mensile, dell’anno scorso.

Altri numeri anticipano un futuro dove la componente umana sarà sempre più superflua:

  • La capitalizzazione di mercato di Amazon si aggira sui $477 miliardi e rappresenta un terzo del sottoindice dello S&P 500 dei titoli retail.
  • 0,9. E’ il numero degli impiegati richiesti per i negozi online per garantire $1 milione di fatturato, contro i 3,5 necessari per i negozi fisici.

Attenzione a pensare, inoltre, che si tratti di un fenomeno limitato agli Usa.

La decisione di Amazon di inglobare Whole Foods ha avuto ripercussioni su tutti i titoli del settore retail, affossando le quotazioni di catene tradizionali di supermercati, come Tesco e Sainsbury nel Regno Unito e Carrefour e Metro in Europa.

La lista delle società retail che saranno costrette a fare ricorso al Chapter 11 sembra insomma destinata ad allungarsi.

E’ vero che per ora si può parlare di fenomeno conclamato  soprattutto negli Stati Uniti.

C’è Gymboree, per esempio, che sta chiudendo più di un quarto dei suoi negozi di abiti per bambini, motivando la decisione con “l’evoluzione dello scenario retail”. La società ha presentato richiesta per la protezione assicurata dal Chapter 11 lo scorso 11 giugno.

RadioShack, catena di negozi di elettronica un tempo onnipresente, è praticamente sparita dalla mappa retail Usa, come scrive un articolo di Foxnews. La società, che contava 7.300 negozi, ha chiuso più di 1.000 di quelli che rimanevano soltanto nel weekend del Memorial Day, e ora conta appena 70 punti vendita.

JC Penney ha reso noto un piano per chiudere fino a 140 dei suoi department stores, ovvero il 14% circa del totale, entro la metà del 2017. La società sta offrendo il prepensionamento a 6.000 dipendenti.

Macy’s: dozzine di punti vendita non esistono più, dopo la chiusura choc del 2016. Ma non è finita qui, visto che Macy’s ha iniziato il 2017 annunciando un piano che prevede la fine per altri 68 negozi, incluso il grande magazzino di Minneapolis che risale al 1902. Si prevedono 3.900 licenziamenti.

Sears e Kmart: Sears ha inaugurato il suo annus horribilis comunicando la chiusura di 42 dei suoi punti vendita Sears. Nel mese di maggio, ne ha chiusi un’altra dozzina. A giugno ha inserito nella lista dei punti vendita da chiudere altri 20 negozi, e a luglio altri otto.

Sempre a inizio anno, la holding a cui fa capo ha decretato la fine di 108 punti vendita del suo marchio discount Kmart: sono stati successivamente smantellati altri 18 negozi Kmart.

Tra le vittime illustri di quest’anno nero per il comparto retail anche:

  • The Limited (chiusura di 250 negozi, 4.000 persone licenziate).
  • Abercrombie & Fitch (prevista chiusura di 60 negozi Usa nel 2017, nell’ambito di un piano che prevede la fine di 285 punti vendita di tutto il mondo).
  • Michael Kors: ha annunciato a maggio che chiuderà fino a 125 dei suoi 800 punti vendita nel corso dei prossimi due anni.