Mps, conto più salato per lo Stato. E nel 2018 arriverà nuova tegola su banche italiane
Nuova tegola su MPS. Una iniezione di fondi pubblici per salvarla, pari a 6,6 miliardi di euro, non sarebbe sufficiente.
Finora, l’ammontare necessario per la ricapitalizzazione complessiva dell’istituto senese era stato calcolato a 8,8 miliardi: di cui, per l’appunto, 6,6 miliardi sotto forma di aiuti di Stato, e 2,2 miliardi da reperire con la conversione di obbligazioni subordinate in azioni da parte degli investitori istituzionali.
Nel fine settimana, il quotidiano La Stampa ha tuttavia scritto come il conto, per lo Stato, possa essere destinato a salire. E questo perchè una tale iniezione totale di fondi, se sufficiente a “riportare il Cet1 (il principale indicatore di solidità patrimoniale) oltre il limite regolamentare”, non basterebbe a centrare i target della Bce noti come Srep.
A tal proposito, nello stesso sito della Bce si legge che “lo SREP mette a fuoco la situazione dell’intermediario in termini di requisiti patrimoniali nonché di gestione dei rischi”.
Le indiscrezioni su MPS arrivano in un momento in cui gli investitori internazionali iniziano a spazientirsi per la lungaggine delle trattative tra la banca da un lato e la Bce e l’Unione europea dall’altro.
A rendere la situazione più fragile per l’intero sistema bancario italiano è quanto riporta Milano Finanza in merito a uno studio condotto da Bain & Company sull’impatto che l’introduzione dell’Ifrs 9, il prossimo 1° gennaio, avrà sulle banche italiane.
Si parla espressamente di una tegola da 5 miliardi in quanto il via a tale principio contabile, “che sostituirà lo Ias 39 e imporrà un nuovo modo di stimare la perdita attesa sui crediti”, potrebbe pesare sul patrimonio bancario per una tale cifra, se non di più. L’articolo fa riferimento a a “un impatto patrimoniale di almeno 5-6 miliardi di euro sul sistema bancario italiano”.
Sotto i riflettori, nel caso italiano, c’è sempre lo stesso problema: quello di avviare una pulizia dei bilanci liberandosi dal giogo dei crediti deteriorati. Di certo, un nuovo principio contabile che facesse salire per gli istituti la perdita attesa sugli Npl sarebbe un brutto segnale per gli istituti di credito italiani, che già hannbo difficoltà nel riuscire a centrare i diktat sul capitale imposti dalla Bce con le attuali regole.
Tornando a Mps, La Stampa spiega la possibilità di un conto più salato per lo Stato con due fattori: il primo, è l’esito dell’ispezione della Bce che si è conclusa a febbraio e che avrebbe fatto emergere “perdite superiori a quelle calcolate fino a ora e che pesano nel computo dell’intervento statale”.
Il secondo attiene alla vendita delle sofferenze. Il punto è che, come ha fatto notare di recente la stessa Daniele Nouy, numero uno della vigilanza Bce, il mercato dei crediti deteriorati è affollato soprattutto da venditori, ovvero da banche ansiose di smobilizzare i loro crediti inesigibili.
Tale squilibrio porta i venditori a essere alla mercè dei compratori, che hanno un enorme potere contrattuale nello stabilire il valore di quegli npl che puntano a rilevare, ovviamente, al prezzo più basso possibile.
Ciò implica che, “sulla base dei valori delle sofferenze scritte nei bilanci di Montepaschi, e che sono attorno al 30% (riporta sempre La Stampa), venderle anche solo al 20% comporterebbe una ulteriore perdita fino a circa 4,5 miliardi, con il quasi azzeramento del patrimonio netto, che al 31 dicembre scorso era di 5,4 miliardi”.
Tale ostacolo potrebbe essere superato con una eventuale decisione di Mps di non vendere tutti i crediti che zavorrano il proprio capitale: una soluzione che, tuttavia, non piacerebbe alla Bce.
Sullo sfondo, l’insofferenza dei tedeschi, che non perdono l’occasione di ricordare che le regole ora sono cambiate, e che il carico deve essere preso dai privati, non dai contribuenti, in linea con quanto stabilisce la normativa sul bail-in.
Riguardo allo spettro dell’Ifrs 9, lo scorso ottobre un articolo di Milano Finanza riportava una nota di Equita Sim sugli effetti che il cambiamento contabile dovrebbe produrre, una volta entrato in vigore (ciò accadrà il prossimo gennaio del 2018):
1) un’ulteriore disaffezione verso le banche perché le rettifiche su crediti e gli utili diventano più volatili e i business model complicati e governati da algoritmi; 2) una pressione per un ulteriore consolidamento perché l’implementazione e il mantenimento dei sistemi necessari al funzionamento del modello sono IT; 3) -20bps di coefficiente patrimoniale Cet1 con Ubi Banca, Mps e Credito Emiliano le banche più impattate; 4) +13bps di costo del rischio con Mps, Intesa SanPaolo e Bper le banche più impattate. La riserva sui performing loan dovrebbe aumentare dallo 0,56% allo 0,74%.