Notizie Notizie Italia Messina (Intesa SanPaolo): nostre banche non andranno a picco. E Ue accelera sulle venete

Messina (Intesa SanPaolo): nostre banche non andranno a picco. E Ue accelera sulle venete

31 Marzo 2017 11:44

Il tempo stringe e la trepidazione sul destino delle due banche venete è in continua crescita. Sollecitata dalle stesse autorità italiane, la Commissione europea si è fatta sentire nelle ultime ore, confermando di essere “in contatto con le autorità italiane e la Bce su Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca per far avanzare il processo di notifica il più rapidamente possibile”. Nessuna indicazione su quale sarà il responso, ma almeno da Bruxelles è arrivato l’impegno a esprimersi presto sulla richiesta di aiuti di Stato, sotto forma di ricapitalizzazione precauzionale, arrivata dai due istituti. Fiducia sul destino in generale delle banche italiane è stata espressa intanto da Carlo Messina, numero uno di Intesa SanPaolo (maggiore azionista del Fondo Atlante, che ha salvato le banche venete). Messina ha escluso casi di fallimenti bancari sistemici sottolineando che le banche italiane non andranno a picco.

Sull’impegno a emettere un verdetto Ue “in tempi rapidi” ne ha parlato un portavoce della Commissione Ue, che ha tenuto a ricordare all’Italia chel’Antitrust dell’Unione europea ha comunque il compito di assicurarsi che alcune regole vengano rispettate, nei casi di richiesta di utilizzo dei soldi pubblici. Tali regole impongono che le banche siano solvibili e che gli aiuti di Stato non vengano utilizzati per coprire perdite pregresse o prevedibili. 

Proprio per questo i due istituti, il cui fabbisogno è stimato in 5 miliardi di euro, stanno ripetendo insieme alle autorità italiane come tra le priorità ci sia la loro fusione. Di questa necessità hanno nuovamente parlato ieri l’amministratore delegato di Popolare di Vicenza Fabrizio Viola e Cristiano Carrus, numero uno di Veneto Banca. 

Il Sole 24 Ore scrive che “l’incontro di ieri, durato parecchie ore, ha esaminato i piani che portano alla ricapitalizzazione con fondi statali – per le due banche si ipotizza un fabbisogno di circa 5 miliardi di euro-, aggiungendo un ulteriore tassello al quadro che dovrà determinare se le due banche sono solvibili o meno. Con un Cet1 all’8,21% – dato consolidato al 31 dicembre 2016, secondo il bilancio licenziato pochi giorni fa – Popolare di Vicenza dovrebbe avere la solvibilità teoricamente garantita, mentre ancora non si conosce il common equity tier 1 di Veneto Banca (il cui bilancio deve essere ancora approvato)”.

Ma l’altro problema si chiama fondo Atlante, che ha investito quasi tutto nelle due banche venete e che è nato grazie ai contribuiti che sono arrivati da altri istituti bancari italiani. Nei giorni scorsi sono emerse indicazioni secondo cui Quaestio, la società che gestisce il fondo Atlante, vorrebbe rimanere azionista di maggioranza dei due istituti anche in caso di arrivo di soldi pubblici, dunque di un intervento statale nel capitale.

Ma Atlante – che, in linea con la tradizione mitologica si dovrebbe accollare sulle spalle il peso del problema (in questo caso del sistema finanziario italiano) – è stato esso stesso sorretto dalle iniezioni di capitale versate  da pilastri del sistema bancario italiano, come UniCredit e Intesa SanPaolo, quest’ultima azionista di maggioranza del fondo. E il numero uno di Intesa SanPaolo, Carlo Messina, è stato chiaro negli ultimi giorni, affermando che “Atlante è pronta a comprare le sofferenze”, ma anche, che “francamente mi sembra che più di quello che ha fatto non possa fare”. Ovvero, come ribadito nelle ultime ore, che: “Intesa Sanpaolo non aggiungerà altri euro rispetto a quelli già versati nel fondo Atlante. Per quanto riguarda i fondi che già sono in utilizzo in Atltante deciderà Atlante, le mie preferenze sarebbe che andassero ad acquistare le sofferenze, anche delle due banche venete certamente”.

In occasione della sua partecipazione al convegno su «Risparmio, giovani, futuro», coordinato dal direttore Paolo Possamai e organizzato dal Mattino di Padova, dall’Università di Padova e dal Centro studi Paladin, Messina ha detto, parlando delle condizioni in cui versa l’intero sistema bancario italiano: 

“Casi di fallimenti bancari ce ne sono stati già in altri Paesi ma il governo italiano ha messo 20 miliardi contro il rischio sistemico e immaginare, con questo paracadute, che qualche banca “coli a picco” è difficile. Potremmo discutere del fatto che forse andava fatto prima, per evitare la degenerazione… La verità è che, con questa vigilanza europea, più aspetti a gestire i crediti deteriorati, più paghi pegno”.

Sui rapporti tra Intesa e il fondo Atlante, Messina ha così commentato:

“Non c’è dubbio che oggi quello a cui dobbiamo puntare è salvaguardare il più possibile l’investimento fatto in Atlante, e un intervento pubblico è auspicabile che sia condotto con attenzione allo sforzo fatto dai privati, che hanno sostituito un intervento pubblico diversi mesi prima, perché se si fosse attuata la misura dei 20 miliardi l’anno scorso il Fondo Altante avrebbe potuto dedicarsi solo all’acquisto delle sofferenze”.

Tra l’altro, Intesa SanPaolo, così come le altre banche che hanno dato soldi al fondo Atlante, non ci hanno guadagnato molto, finora. Tutt’altro: secondo quanto ricostruito dall’agenzia Radiocor, le rettifiche effettuate dalle prime 12 banche italiane che hanno aderito ad Atlante sono pari a 1,01 miliardi, contro gli 1,98 miliardi effettivamente versati al fondo al 31 dicembre. A meno di un anno dalla nascita del fondo – che aveva raccolto 4,25 miliardi da banche, assicurazioni, Cdp e alcune fondazioni – la svalutazione media è stata quindi del 51,2% delle somme effettivamente versate. Corposa anche la rettifica del Banco Bpm (-59,8 milioni, ovvero -49,1% rispetto ai 121,7 milioni versati). Seguono Ubi (-73 milioni, -45% rispetto ai 162,2 versati) e Mediolanum (-17,1 milioni, -42,1% dai 40,6 milioni iniziali). Le altre due “malate” del sistema, Mps e Carige hanno svalutato rispettivamente per 10 milioni (-33,7% dai 29,7 versati) e 5,4 milioni (-33,3% da 16,2).

Unicredit, unica banca sistemica d’Italia, ha svalutato la propria quota di circa l’80% (per 547 milioni di euro). Intesa SanPaolo ha svalutato finora solo del 33% la quota nel fondo e, secondo gli analisti di Mediobanca, se anche Intesa dovesse allinearsi a UniCredit, l’operazione peserebbe per 8 punti base sul Cet1 Ratio. 

Anche a tal proposito, Messina è stato chiaro: “In ogni caso prima di parlare di azzeramento o svalutazioni aspettiamo che prosegua la trattativa per poter far continuare ad operare queste due banche con prospettive di carattere reddituale”.