Notizie Notizie Italia Bankitalia: italiani scelgono contante ma anche i derivati. Fuga dai bond bancari e titoli Stato

Bankitalia: italiani scelgono contante ma anche i derivati. Fuga dai bond bancari e titoli Stato

31 Marzo 2017 09:41

I risparmiatori italiani preferiscono sempre di più il contante e si allontanano invece dai bond, sia emessi dallo Stato che dalle banche. Allo stesso tempo, vanno alla ricerca di strumenti finanziari che possano rendere di più – in un contesto caratterizzato ancora dai tassi sotto lo zero, sulla scia delle politiche della Bce – e spesso non valutano i rischi in modo attento, come è avvenuto nel caso dei “bond argentini”. E’ il quadro presentato da Ignazio Visco, numero uno di Bankitalia, nel corso del convegno “La ricchezza della nazione. Educazione finanziaria e tutela del risparmio.

“Resta elevato il peso di circolante e depositi (bancari e postali), ridottisi fino al 20 per cento del complesso delle attività all’nizio degli anni duemila ma cresciuti nuovamente negli ultimi anni fino a poco più del 30% (1.300 miliardi di euro), una quota simile a quella registrata alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso”. Gli italiani, insomma, scottati dalla crisi finanziaria, hanno visto nella liquidità un porto indubbiamente più sicuro, canalizzando verso di essa una buona parte dei 4 miliardi di ricchezza totale.

“Questa ricomposizione è il risultato della risposta agli effetti della crisi finanziaria globale e di quella successiva dei debiti sovrani nell’area dell’euro, in particolare all’insicurezza da esse generata e al calo dei rendimenti di altri strumenti finanziari”.

Considerati invece meno appetibili i bond, inclusi i titoli dei debiti sovrani:

“il possesso di titoli obbligazionari (compresi quelli pubblici), ossia bond e titoli di Stato, la cui quota aveva raggiunto il 30% alla fine degli anni Ottanta, è invece sceso oggi intorno al 10% del totale delle attività finanziarie lorde, la percentuale più bassa dal 1950 (che resta però elevata nel confronto internazionale: gli Usa sono al 6,2%, la Germania al 3,2%, la Francia all’1,4% e la Gran Bretagna all’1,6%,)”.

Sui bond bancari – su cui ultimamente l’attenzione è alta, soprattutto in merito al destino dei bond delle due banche venete Popolare di Vicenza e Veneto Banca – Visco ha reso noto che il 90% detenuto dalle famiglie scade entro il 2020:

“La vita residua delle obbligazioni bancarie nel portafoglio delle famiglie è relativamente breve: il 40% circa scadrà entro la fine dell’anno in corso, il 90% entro il 2020″. E le famiglie italiane detengono “circa 150 miliardi” di “obbligazioni bancarie, in riduzione negli ultimi anni, un quinto delle quali è nella forma, più rischiosa, di titoli subordinati“. 

La flessione dei rendimenti dei titoli del debito pubblico ha in generale portato le famiglie italiane a diversificare in prodotti più rischiosi. Visco ha parlato di famiglie come di un “caso unico in Europa”, sottolineando come essere abbiano “ricercato rendimenti equivalenti in altri strumenti”, ma spesso senza valutare nel modo opportuno i rischi, “come accaduto con i bond argentini” .

Sulla rischiosità di alcuni strumenti, Visco aveva lanciato un monito alla metà di marzo, nel corso di un convegno a Milano, in cui aveva sottolineato che “se ti danno il 3% di rendimento va bene ma se ti danno il dieci devi sapere che stai correndo un rischio“, rendendo noto che “nel 2015 il 55% del risparmio era investito in strumenti molto rischiosi: azioni, fondi, derivati, riserve assicurative e stiamo parlando di famiglie”.

Sempre nel discorso di ieri, Visco ha confermato che è cresciuto in misura significativa “l’aggregato che comprende azioni e altre partecipazioni, quote di fondi comuni, riserve assicurative e fondi pensione (dal 35% delle attività finanziarie alla fine degli anni Ottanta al 55% di oggi)». Il maggiore incremento si è verificato “per le quote di fondi comuni (aumentate da meno del 3% dal 1990 al 12% oggi) e per le riserve assicurative e i fondi pensione, oggi al 22% (allora all’8%), il massimo storico, che ci avvicina agli altri paesi dove sono più diffuse forme di previdenza complementare o alternativa al sistema pensionistico pubblico”.