Mercati, troppo presto per scommettere su una possibile de-dollarizzazione?
La recente rivendicazione del presidente francese, Emmanuel Macron di un’autonomia strategica europea si scontra con una dura realtà: la supremazia del dollaro statunitense. È quindi possibile una sorta di “de-dollarizzazione”? iBanFirst, la fintech attivà nel settore dei pagamenti internazionali, ha stilato alcune motivazioni per cui si tratti di uno scenario altamente improbabile.
De-dollarizzazione, ecco perché è altamente improbabile
La prima ragione, secondo iBanFirst é che la maggior parte del debito globale è denominata in dollari USA e per ripagarla è necessario avere accesso ai dollari americani. Questo vale per tutte le principali potenze economiche, persino per la Cina, i cui primi prestiti nell’ambito della Nuova Via della Seta sono stati emessi in dollari.
In secondo luogo, l’egemonia militare e il potere monetario sono fortemente legati. Quanto più forti sono i legami militari di un paese con gli Stati Uniti, tanto più tale paese dipende dal dollaro americano.
Uno studio della Fed ha mostrato come i ¾ delle riserve mondiali di dollari siano detenuti da Paesi con forti legami militari con gli Stati Uniti. Anche se il dollaro fosse meno utilizzato nel commercio globale, scenario altamente improbabile, ciò non significherebbe necessariamente che perderebbe il suo status di principale riserva di valore internazionale proprio a causa dell’egemonia militare statunitense.
In terzo luogo, ci sono diversi fattori strutturali che sostengono un sistema monetario internazionale centrato sul dollaro (piuttosto che sullo yuan):
- Il dollaro è estremamente liquido, lo yuan no
- Lo yuan è ancorato al dollaro
- Gli Stati Uniti sono ancora il Paese più potente al mondo dal punto di vista militare ed economico
- Gli Stati Uniti sono anche il maggior produttore di petrolio al mondo
Come sarà il sistema monetario internazionale tra 10 anni?
Secondo Michele Sansone, Country Manager di iBanFirst in Italia, “stiamo entrando in un sistema monetario globale più decentralizzato, in cui il dollaro americano rimarrà la principale valuta di riserva accanto a molti altri concorrenti, come lo yuan. Si tratta di uno sviluppo sano e normale per l’economia globale, ma soprattutto per quella statunitense. Il fatto che tutti i Paesi si affidino alla valuta di un solo altro Paese non è positivo. Crea squilibri sia per loro che per gli Stati Uniti”.
Tuttavia, prosegue Sansone, c’è un ultimo punto che potrebbe ribaltare la tendenza del dollaro forte. “Sappiamo che l’egemonia del dollaro aumenta il potere d’importazione degli Stati Uniti e diminuisce la competitività delle loro esportazioni. Espande il soft power del Paese a scapito del deterioramento della sua capacità industriale interna. In poche parole, la diversificazione globale delle riserve delle banche centrali e dei circuiti di pagamento è negativa per gli “USA come Impero, ma non per gli “USA come Paese”.