Manovra, rischio buco 1,7 miliardi. Padoan risponde a lettera Ue, rimane questione output gap
Rischio di un buco di 1,7 miliardi? Il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan risponde alla richiesta di chiarimenti pervenuta lo scorso venerdì da Bruxelles, in cui veniva citato il rischio di una “deviazione significativa” di 1,7 miliardi di euro. Deviazione significativa che si riferisce allo scarto tra la correzione del disavanzo strutturale che il governo italiano ha indicato nella Legge di bilancio e quella stimata dalla Commissione europea.
“Riteniamo che gli obiettivi siano in linea con i requisiti del Patto di stabilità e crescita e riflettano la strategia del governo di riduzione del deficit e del debito sostenendo allo stesso tempo la ripresa economica in atto. Confidiamo che la commissione ne terrà conto nel suo giudizio”.
Sulla deviazione Padoan spiega che questa, pari allo 0,1% del Pil, è “da attribuirsi a una diversa applicazione della metodologia nel calcolo della crescita potenziale”, ovvero quella crescita che l’Italia riuscirebbe a riportare sfruttando a pieno le capacità produttive.
Rimane la divisione, insomma, tra il Mef e Bruxelles, riguardo al metodo di calcolo dell’output gap – differenza tra crescita reale e potenziale -, in quanto quello previsto dall’esecutivo è pari al -2,1% del prodotto potenziale nel 2017 e a -1,2% nel 2018, mentre nelle sue previsioni di primavera la Commissione europea indica output gap rispettivamente dello -0,8% e 0.
Praticamente: la differenza dello 0,1% tra la correzione del disavanzo strutturale indicata nel documento programmatico di bilancio (0,3%) e quella contenuta nella lettera della Commissione europea (0,2%) “è da attribuirsi ad una diversa applicazione della metodologia nel calcolo della crescita potenziale (e quindi dell’output gap)”.
E, “in vista di una probabile revisione della crescita reale nelle nuove stime di autunno, questi dati saranno probabilmente rivisti al rialzo, puntando a un output gap positivo nel 2018: è un risultato che noi sentiamo in contrasto con tutte le evidenze macroeconomiche, dai salari all’inflazione dei prezzi al consumo, ai dati della disoccupazione e della capacità utilizzata”.
Insomma, Padoan mette in guardia sul rischio che l’output gap negativo dell’Italia sia sottostimato, in un contesto in cui “il giudizio del governo è che l’Italia sta tuttora sperimentando condizioni cicliche difficili anche se in via di miglioramento“.
Da segnalare che l’output gap è un parametro in base a cui vengono valutate le correzioni di bilancio ed esprime la differenza tra quanto l’economia cresce realmente e quanto potrebbe crescere a livello potenziale.
Il parametro è da tempo terreno di scontro tra l’Italia e Bruxelles.
Basti pensare che, verso la fine del 2014, l’esecutivo italiano aveva inviato un documento all’Unione europea, in cui faceva notare come le stime europee sul Pil potenziale dell’Italia fossero negative in modo eccessivo, e non riflettessero in modo adeguato quella differenza tra Pil reale e Pil potenziale su cui aveva inciso la crisi.
In quel momento, Bruxelles aveva valutato la crescita potenziale in calo dal +1,4% precedente la crisi a -0,2% post-crisi.
Il governo aveva fatto notare che con una stima del prodotto interno lordo potenziale più realistica, pari per esempio a +0,4% post crisi, il saldo di bilancio strutturale sarebbe stato in regola con le regole dell’Ue già dal 2012. E non sarebbero servite, di conseguenza, manovre correttive e di aggiustamento dei conti pubblici.
Nella lettera delle ultime ore, Padoan ritorna sulla questione:
“Quanto al rischio di deviazione nel 2017 e nel 2018, il Governo ha agito in maniera pienamente rispettosa delle Raccomandazioni della Commissione, che hanno portato ad una correzione strutturale aggiuntiva dello 0,2% varato all’inizio dell’anno in corso”.
Viene anche posto l’accento sulla spesa per la gestione della frontiera meridionale dell’UE e la relativa accoglienza dei migranti di cui l’Italia si fa carico: una spesa che pesa per lo “0,25% del PIL”.
In più, Padoan afferma che le riforme varate dall’Italia negli ultimi anni, a partire da quella della pubblica amministrazione fino ad arrivare alla legge sulla concorrenza, “se pienamente implementate”, potranno avere un effetto cumulato sul Pil intorno al “3% nei prossimi cinque anni”.