Lunedì nero per Piazza Affari: banche affondano ancora, male anche difesa

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La settimana parte decisamente male per Piazza Affari, prende così forma, come molti avevano anticipato vedendo il crollo dei listini asiatici e i movimenti dei future, il lunedì nero anche per il listino milanese. L’indice Ftse Mib che nelle prime battute non è riuscito a fare prezzo e ora crolla di oltre il 6% e viaggia sopra i 32mila punti.
Un’apertura in profondo rosso per tutte le principali Borse europee, aggravando così una crisi del mercato azionario globale già vista la settimana scorsa. Gli investitori restano sotto pressione, con il rischio recessione in aumento dopo i dazi annunciati da Donald Trump la scorsa settimana. Nonostante il sell-off che ha investito l’azionario, Trump non sembra affatto pronto a tornare minimamente sui suoi passi e allentare le sue misure protezionistiche, parlando invece di una “medicina” necessaria e alimentando le preoccupazioni di uno spettro inflazionistico.
Stando alle stime di Citigroup, un livello medio di dazi superiore al 20% mantenuto nel tempo potrebbe ridurre l’utile per azione dell’S&P 500 dell’11%, oltre a deprimere le valutazioni a causa di un incremento del rischio percepito.
Sell-off per il Ftse Mib
Piazza Affari riparte in forte calo, con l’indice Ftse Mib che cede oltre il 6%. Tra i crolli maggiori quelli di Leonardo che indietreggia dell’8,5% e Iveco che perde il 7,5%, giù i bancari con Banca Popolare di Sondrio a -7% con Mps.
L’indice milanese ha chiuso la passata ottava con una flessione di circa il 6,5%, in un venerdì nero per i finanziari e non solo. Il Ftse Mib che aveva chiuso il primo trimestre dell’anno con un saldo positivo, ora ha azzerato tutti i guadagni e ora segna un -5,45% YTD.
Sotto osservazione i titoli di stato europei. In risalita lo spread BTP-Bund sopra 130 punti, con il decennale italiano che scende al 3,76% e quello tedesco al 2,51%. Con gli investitori che vanno verso gli asset più sicuri, come il Bund tedesco.
“Gestire in questo periodo le strategie di investimento è arduo a causa della natura politica e ideologica delle decisioni di Trump che differiscono dall’approccio tipico degli investitori. I timori del mercato di una recessione globale sono elevati e ben fondati, poiché il commercio globale è destinato a diminuire significativamente. Il panorama degli investimenti dipenderà dall’inflazione, dato che la crescita degli Stati Uniti è stagnante o potenzialmente negativa. Se Consumer price index (CPI) dovesse aumentare leggermente, consentendo alla Fed di tagliare i tassi, o se superasse il 4% (portando alla stagflazione), gli scenari sarebbero diversi. Nel primo caso, i tassi statunitensi potrebbero scendere sotto il 4%, mentre nel secondo potrebbero rimanere nel range del 4,0-4,5% al massimo”, ha commentato Mauro Valle, Head of Fixed Income di Generali Asset Management.
“Lo scenario dell’Eurozona appare un po’ più facile da interpretare. I dazi potrebbero avere un impatto negativo moderato sulla crescita dell’UE, ma questo sarà compensato dalla spesa fiscale tedesca verso la fine del 2025 e nel 2026. Si prevede che l’inflazione nell’Eurozona continui a diminuire nei prossimi mesi, consentendo alla Bce di tagliare i tassi nelle prossime riunioni, potenzialmente portando i tassi ufficiali sotto il 2% se necessario, sostiene ancora l’esperto che mantiene “una posizione moderatamente sovrappesata nei Bund e monitorare il livello del 2,5% per decidere se ridurre o meno”. Gli spread italiani e francesi rispetto alla Germania sono stati abbastanza stabili di recente e riteniamo che i rischi che potrebbero interrompere l’intervallo di negoziazione siano bassi nel breve termine.
Trump tira dritto
Nessun novità nella narrativa portata avanti dal presidente Usa, Donald Trump che nega di avere innescato il crollo dei mercati. “Non voglio che nulla vada a rotoli, ma a volte bisogna prendere una medicina per sistemare qualcosa”, ha dichiarato Trump dall’Air Force One nel fine settimana. “Dobbiamo risolvere il nostro deficit commerciale con la Cina”, ha sottolineato ancora il tycoon, aggiungendo che gli Usa hanno “un deficit commerciale di mille miliardi di dollari con la Cina, centinaia di miliardi di dollari all’anno che perdiamo. Se non risolviamo questo problema, non farò un accordo”
“La speranza che il fine settimana avrebbe portato ad un esaurimento per stanchezza del momento negativo si è rivelata appunto solo una speranza. Durante il fine settimana l’amministrazione Usa ha spinto la narrativa che un gran numero di paesi è in fila per negoziare ed evitare i dazi USA che entreranno in vigore mercoledì (il dazio uniforme del 10% è entrato in vigore sabato), ma è evidente che questo necessita di tempo”, commentano gli strategist di Mps Capital Services, indicando che se lo S&P500 aprisse in linea con le indicazioni dei future ci troveremmo in territorio di bear market, con un declino superiore al 20% dai massimi del 19/2.
“Sia Trump (“dimentichiamoci dei mercati per ora”) che Powell (“dazi significativamente superiori alle attese”) non hanno fornito elementi per trovare un bottom. Tuttavia, con un mercato così stressato potrebbe essere sufficiente anche un piccolo miglioramento del newsflow per ottenere una stabilizzazione; il meeting dei ministri UE sulla risposta da dare agli USA potrebbe costituire un trigger in questo senso”, aggiungono.
I big di Wall Street puntano dito contro dazi
Tra i guru di Wall Street che prendono le distanze da Trump c’è il miliardario Bill Ackman, fondatore di hedge fund Pershing Square. “Credo fermamente che lanciare tariffe contro il mondo intero sia un errore”, ha tuonato il miliardario Bill Ackman, secondo il quale è necessaria una sospensione di 90 giorni sui dazi.
E mentre Goldman Sachs porta al 45% le probabilità di una recessione negli Usa, JPMorgan diventa la prima banca di Wall Street a prevedere una recessione negli Stati Uniti dopo i dazi di Trump. La banca d’affari guidata da Jamie Dimon ritiene che l’economia statunitense entrerà in recessione nella seconda metà del 2025, quando i dazi del presidente Trump inizieranno a farsi sentire.
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