L’inflazione non sarà un fenomeno temporaneo, investitori devono correre ai ripari
Le principali banche centrali hanno ribadito di considerare le attuali pressioni inflazionistiche come transitorie. Ma secondo Hendrik Tuch, Head of Fixed Income NL di Aegon Asset Management, le dinamiche alla base del rialzo degli indici dei prezzi al consumo potrebbero non essere esattamente temporanee. Una probabile stretta di Fed e Bce di fronte ad un’inflazione più sostenuta, tuttavia, potrebbe cogliere di sorpresa i mercati.
Secondo l’esperto, infatti, guardando al tasso a 10 anni in Germania (che è ancora a un -0,22%) e negli Stati Uniti (intorno all’1,45%) sembrerebbe che i mercati obbligazionari non si aspettino un sostanziale ciclo di rialzo dei tassi nel prossimo decennio, sottovalutando così la situazione.
La storia ricorda…
Negli ultimi trimestri, spiega Hendrik Tuch, “abbiamo visto shock dei prezzi in tanti settori, fenomeni che sono stati generalmente attribuiti a “carenze di offerta” o ad altri fattori presumibilmente temporanei. Ma l’impennata dei costi di trasporto, l’aumento dei costi dei materiali da costruzione, dei chip dei computer e del gas naturale sono solo l’indicazione di una sana domanda di prodotti, che alla fine porterà ad una risposta opportuna dell’offerta”.
L’esperto ricorda che “negli anni Settanta e Ottanta il boom dell’inflazione è iniziato con un presunto aumento ‘temporaneo’ del prezzo del petrolio, che è poi stato seguito da forti aumenti di prezzo a catena di ciascun prodotto del paniere inflazionistico. Questo perché le aziende si sono trovate costrette ad adeguare prezzi e costo del lavoro. Oggi, gran parte della pressione dei prezzi di produzione deve ancora essere addebitata ai consumatori, che chiederanno poi un’adeguata compensazione salariale. Negli Stati Uniti, la pressione salariale nel segmento più basso del mercato del lavoro ha già iniziato a montare. La mancanza di manodopera disponibile, in combinazione con l’aumento dell’indice dei prezzi al consumo, molto probabilmente spingerà i salari a una velocità che non vedevamo da decenni”.
L’effetto delle politiche di riduzione di CO2
Un altro fattore importante largamente ignorato dai mercati finanziari, puntualizza Hendrik Tuch, “è l’accelerazione collettiva delle misure per ridurre le emissioni di carbonio, specialmente in Europa. Per raggiungere gli obiettivi piuttosto ambiziosi fissati dall’UE, sono necessari massicci investimenti; le aziende europee dovranno affrontare un conto sempre più salato per l’emissione di CO2 e anche le future importazioni saranno soggette a ulteriori tasse sul carbonio per garantire che la produzione non si sposti fuori dall’UE. Gli investimenti, pubblici e privati, richiederanno molti materiali aggiuntivi, il che metterà un’ulteriore pressione sui prezzi, mentre per i consumatori ci sarà un aumento significativo delle spese, specialmente su trasporti e consumi energetici”.
Tutti questi fattori, secondo l’esperto, “faranno parte del futuro calcolo dell’indice dei prezzi al consumo e hanno il potenziale per spingerlo sopra il 2%, per molto tempo. Ma l’impegno dei governi dell’UE è chiaro e sostenuto da una grande parte dell’elettorato. Potrebbe volerci un po’ di tempo prima che i mercati obbligazionari realizzino che l’inflazione è qui per restare. E quando accadrà ci sarà una certa volatilità. Le banche centrali dovranno riconoscerlo e reagire di conseguenza, riducendo i programmi di acquisto e persino prendendo in considerazione un discreto ciclo di irrigidimento. Un rapido sguardo agli attuali rendimenti di mercato e ai multipli degli utili mostra che i mercati sono completamente impreparati per un tale risultato”.
Considerando i prezzi del gas naturale, Hendrik Tuch conclude che “i consumatori stanno rapidamente facendo scorta di maglioni caldi per l’inverno. Allo stesso modo, gli investitori dovrebbero affrettarsi a trovare vie di protezione contro la volatilità del mercato”.