Notizie Notizie Italia Legge bilancio: è lotta tra falchi e colombe. Ma sta vincendo Tria, e i mercati ci credono

Legge bilancio: è lotta tra falchi e colombe. Ma sta vincendo Tria, e i mercati ci credono

17 Settembre 2018 10:56

Legge di bilancio 2019, alla fine vincerà il guardiano dei conti Giovanni Tria, con al seguito i suoi falchi?

Quando si parla di politica monetaria si usano spesso i termini “falchi” e “colombe”, intendendo per “falchi” i più rigoristi che, nel caso della Bce e della Fed premono per esempio per la fine del QE e/o per il processo di normalizzazione dei tassi, con tanto di strette monetarie e misure per drenare la liquidità; per colombe, si fa riferimento invece a chi fa fatica ad accantonare misure anche anti-convenzionali come i vari bazooka monetari, i Quantitative easing per l’appunto e anche, fenomeno dilagato negli ultimi anni post crisi, la politica dei tassi a zero.

I falchi sono per una politica monetaria restrittiva, le colombe per una accomodante, dunque espansiva.

Ma i falchi e le colombe non si fanno la guerra solo nell’arena della politica monetaria. Altro terreno di scontro è quello della politica fiscale, e questo è vero soprattutto in Italia (anche perchè a livello di politica monetaria tutto viene deciso dalla Bce, a livello europo), dove manca poco alla stesura finale della legge di bilancio per l’anno prossimo, e dove ogni giorno è lunga la carrellata di indiscrezioni, smentite, nuove indiscrezioni, dichiarazioni e scontri.

Colombe sono sicuramente i vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini: fosse per loro, all’interno della manovra economica entrerebbe tutto e di più e, comunque, sicuramente il contratto di governo M5S-Lega nella sua interezza. Di Maio e Salvini sono sostenitori di una politica fiscale espansiva, fatta di tagli alle tasse.

Nel governo M5S-lega i falchi, in realtà, sono pochi: anzi, forse è solo lui, il ministro dell’economia Giovanni Tria, l’unico falco assediato dalle colombe che, per primo, ha parlato della necessità di rispettare i vincoli di bilancio europei.

Tria ha però anche un asso nella manica che nessuna esternazione di Di Maio o di Salvini può mettere in discussione: il ministro ha dalla sua parte i mercati finanziari, è considerato forse l’unico del governo capace davvero di evitare che l’Italia si metta in rotta di collisione con l’Ue (anche se nell’ultimo periodo, probabilmente per effetto proprio dell’influenza di Tria, perfino Salvini e Di Maio hanno concordato sulla necessità che il tetto deficit-Pil fissato da Bruxelles al 3% non venga sforato).

Il falco accerchiato dalle colombe sarebbe riuscito così non solo a non essere fatto fuori – anche se voci sulle sue dimissioni si rincorrono periodicamente – ma anche a convincere le stesse colombre sulla bontà del suo pensiero.

Politica fiscale: Tria forse unico tra i falchi, batte le colombe

Mentre si parla sempre più di alta tensione tra M5S e Lega, mentre si ragiona sul volto da dare alla legge di bilancio, arriva ora un’indiscrezione de Il Corriere che fa tirare un ulteriore sospiro di sollievo ai mercati. Federico Fubini scrive:

“Giovanni Tria, il ministro dell’Economia senza affiliazione di partito, è attestato su un obiettivo solo apparentemente semplice però chiaro: il deficit delle amministrazioni pubbliche per il 2019 può raddoppiare rispetto agli impegni ereditati dal suo predecessore Pier Carlo Padoan, ma non di più. Non ci sarà finanziamento delle misure promesse da Lega e Movimento 5 Stelle generando ulteriore debito. Quando nei prossimi giorni si dovranno scrivere le grandi linee di programma nella «nota di aggiornamento» al Documento di economia e finanza (Def)— da approvare entro dieci giorni — il deficit per il 2019 dovrà essere all’1,6% del prodotto lordo (Pil). Tria è convinto che questo sia l’obiettivo adatto: permetterebbe di erodere un po’ il deficit «strutturale», lo zoccolo duro della posizione di bilancio, garantirebbe un calo sostanziale del debito; ma non imporrebbe una vera stretta adesso che l’economia sta chiaramente rallentando. Anche il premier Giuseppe Conte sarebbe acquisito a questa prospettiva”.

Insomma, in attesa dell’incontro previsto per oggi, sempre secondo il quotidiano, tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e i due viceministri Matteo Salvini e Luigi Di Maio, che avrà per oggetto la manovra, si apprende che Tria sarebbe determinato a non permettere che il deficit di bilancio dell’1,6% – che lui ha in mente di fissare come tetto massimo – venga sforato.

Ancora Il Corriere:

“I conti non danno scampo: vanificato l’aumento dell’Iva, tenuto conto dell’aumento dei tassi d’interesse sul debito e del rallentamento della ripresa, il deficit l’anno prossimo tende spontaneamente a salire verso circa il 2,2% del Pil; senza aggiungere nuove misure, servirebbero dunque risparmi o nuove entrate per 10 miliardi solo per centrare l’obiettivo che serve per rassicurare l’Unione Europea e i tanti creditori del Paese. In più però c’è da finanziare il programma di governo, i cui costi reali sono ancora ignoti ma andranno necessariamente contenuti. Ne deriva che i risparmi o le entrate supplementari per far quadrare i conti dovranno essere in totale di almeno 15 miliardi di euro“.

Peccato, però, che anche questa soglia magica dell’1,6% non convinca affatto un altro alto rappresentante dei falchi, seppur esterno al governo: Carlo Cottarelli, ex Commissario alla spending review, numero uno dell’Osservatorio dei Conti Pubblici:

In un intervento a “Circo Massimo” di Radio Capital, Cottarelli lo dice chiaramente:

“Io escluderei un deficit superiore al 2%. Se si arriva all’1,6% è difficile far tornare i conti. Quest’anno partiamo dall’1,8, al quale bisognerà aggiungere la maggior spesa per l’aumento dello spread e le spese indifferibili: si arriva al 2,3%. Stando così le cose, è dura farlo arrivare a 1,6% inserendo flat tax, reddito di cittadinanza e una riforma delle pensioni. L’Iva non sarà aumentata, credo”.

Quanto è peggio, continua Cottarelli, è che “la realtà è che noi rimarremo vulnerabili anche con un deficit all’1,6%. Con qualche scossone o qualche rallentamento dell’economia europea diventeremo di nuovo preda di una crisi di sfiducia e degli speculatori se non facciamo riforme per la crescita. Penso, in ogni caso, che il governo sarà responsabile ed eviterà una crisi immediata”.

Si fa sentire anche il ministro degli Affari europei, Paolo Savona che, in un’intervista a Libero – dopo aver attaccato anche lui qualche ora prima il numero uno della Bce Mario Draghi, dice chiaramente:

O si cresce o si collassa Cara Ue, fai tu i compiti”.

Quotidiano Libero ricorda che Savona ha “recentemente inviato a Bruxelles un documento di 17 pagine con gli elementi su cui fondare la ricostruzione di una nuova architettura europea. La filosofia di Savona è che l’Europa si salva solo con la crescita economica, perciò bisogna creare le condizioni per lo sviluppo: investimenti, flessibilità, un sistema economico unitario, con l’integrazione dei sistemi fiscali dei Paesi membri. In ballo non c’è solo la futura leadership dell’ Europa, che si contenderanno sovranisti, popolari e liberali, con il Pse fuori dai giochi, ma c’è l’intera sopravvivenza del sistema e della moneta unica”.

Per ora, i mercati credono in ogni caso più a Giovanni Tria che non ai timori di Carlo Cottarelli: la soglia magica dell’1,6% non sembra spaventare.

Il differenziale scende di oltre -3%, fino a capitolare al minimo intraday di 226,90 punti base, a fronte di tassi sui BTP decennali, in calo fino al 2,71%.

“Alcuni commenti rassicuranti arrivati dal ministero delle Finanze, e relativi all’intenzione di non sforare l’1,6% di deficit-Pil stanno aiutando i bond italiani”, afferma Sebastian Fellechner, strategist dei tassi presso DZ Bank, intervistato da Reuters.  E anche la proposta CIR starebbe giocando la sua parte nell’alimentare gli acquisti sui BTP.