Notizie Notizie Mondo La madre di tutte le bolle. Ecco dove si sta annidando

La madre di tutte le bolle. Ecco dove si sta annidando

6 Dicembre 2024 13:30

Le scommesse sulla nuova amministrazione Trump e sul suo programma “pro crescita” hanno galvanizzato ulteriormente una Wall Street che già godeva di ottima salute. Un’euforia che si è tradotta in 140 miliardi di dollari sui fondi azionari legati a Wall Street dopo la vittoria elettorale di Trump e si somma a un mercato toro che sospinge la Borsa di New York ormai da più di 2 anni. Quest’anno l’S&P 500 ha infranto record su record e tra gli analisti l’euforia imperversa.

All-in su Wall Street

Wells Fargo questa settimana ha pubblicato un obiettivo di fine 2025 a oltre 7mila punti per l’S&P 500, il più alto tra gli strategist di Wall Street e che implica un +26% dai livelli attuali. “Nel complesso, ci aspettiamo che l’amministrazione Trump inauguri un contesto macro sempre più favorevole per le azioni in un momento in cui la Fed ridurrà lentamente i tassi”, ha scritto Wells Fargo nel suo outlook azionario per il 2025.

Davanti a uno scenario globale che non manca di elementi di incertezza, a partire dalle elevate tensioni geopolitiche ed economiche, gli investitori non sembrano avere dubbi su cosa fare: all-in su Wall Street. A tal riguardo, Ruchir Sharma, ha scritto sul Financial Times che gli investitori stranieri stanno alimentando la “madre di tutte le bolle” nelle azioni statunitensi. “Uniti dalla fiducia nella forza dei mercati finanziari statunitensi e nella loro capacità di continuare a sovraperformare tutte le altre economie, gli investitori globali stanno impegnando più capitale in un singolo paese che mai nella storia moderna”, ha detto il presidente di Rockefeller International.

Msci poco World e tanti States

In effetti, il peso degli Stati Uniti sui mercati globali ha raggiunto dimensioni monstre. L’indice Msci World, che in teoria è chiamato ad essere espressione dell’azionario dei principali 23 paesi sviluppati, ad oggi è concentrazione geografica è elevatissima, gli Stati Uniti rappresentano quasi i tre quarti (73,9%) dell’intero indice. A questo si aggiunge poi la concentrazione su pochi titoli (le tre mega cap Nvidia, Apple e Microsoft contano da sole per il 14,2%) e oltre quasi il 26% sul settore tecnologico. Tutto bene finché i mercati avanzano a vele spiegate (da inizio anno l’S&P 500 segna +27%), ma se il vento cambiasse è indubbio che questo sbilanciamento espone a molti rischi.

Si tratta di una concentrazione sugli Usa il 30% superiore rispetto ai livelli degli anni ’80.

Uno sbilanciamento che in effetti è in buona parte giustificato dallo stato di salute del corporate a stelle e strisce. Gli Stati Uniti hanno registrato una crescita degli utili del 9% negli ultimi 12 mesi rispetto a solo l’1% del resto del mondo (Giappone a parte), stando ai dati LSEG Datastream.

Già prima dell’effetto Trump, le azioni statunitensi hanno beneficiato del boom legato all’intelligenza artificiale. E questo si traduce in utili stratosferici delle Magnifiche Sette, tutte del settore tech e legate a doppio filo all’AI, i cui utili sono aumentati del 45% nell’ultimo anno. “Il consensus degli analisti vede gli Stati Uniti continuare a guidare la crescita mondiale degli utili, anche se si vede un miglioramento a livello globale. Pensiamo che quest’ultima performance dimostri il perché questo non è un tipico ciclo economico e perché temi come l’intelligenza artificiale e le visualizzazioni granulari contano di più”, argomenta Antonio Tognoli, responsabile macro analisi di Corporate Family Office Sim.

Brama di Usa, non solo azioni

La brama di Stati Uniti non si limita alle sole azioni. Nel frattempo, il dollaro Usa ha raggiunto il livello più alto nello stesso arco di cinque decenni con un’accelerazione da ottobre, poiché le previsioni per le politiche di Trump hanno alimentato la domanda estera di Treasury. Finora quest’anno, rimarca Sharma sul FT, i trader non statunitensi hanno impegnato un tasso annualizzato di 1 trilione di dollari in titoli di debito statunitensi, vicino al doppio dei flussi dell’eurozona.

“Parlare di bolle nella tecnologia o nell’AI, o nelle strategie di investimento incentrate sulla crescita e sullo slancio, oscura la madre di tutte le bolle nei mercati statunitensi”, ha scritto. “Dominando completamente lo spazio mentale degli investitori globali, l’America è sovra-posseduta, sopravvalutata e sopravvalutata a un livello mai visto prima”.

Bolle a confronto e rischi per le altre economie

Quando su parla di bolle finanziarie nasce spontaneo il confronto con quella delle dot-com degli anni 2000, quando i multipli delle azioni statunitensi erano più alte di quelli attuali, ma allora gli investitori non vedevano un premio così ampio rispetto al resto del mondo.

Sharma ritiene che se da un lato queste condizioni mettono i mercati statunitensi sulla buona strada per un eventuale declino, dall’altro creano problemi alle altre economie. “In passato, compresi i ruggenti anni ’20 e l’era delle dotcom, un mercato statunitense in crescita avrebbe sospinto gli altri mercati. Oggi, un mercato statunitense in forte espansione sta succhiando denaro dagli altri“.

Questo si traduce in mercati più piccoli, i deflussi indeboliscono la valuta di quell’area, costringendo la banca centrale ad aumentare i tassi, rallentare l’economia e peggiorare i fondamentali. L’Europa sembra avere ben chiaro questo problema con sempre più voci, a partire dalla Bce, che si alzano per accelerare il percorso verso un mercato unico dei capitali che permetta di rivaleggiare se non ad armi pari con Wall Street, ma almeno con armi meno spuntate.