L’appello di Fabio Panetta (Bankitalia): ‘Si cambi il bail-in, così rischia di minare fiducia in banche’
Il bail-in deve essere cambiato, in quanto rischia di minare la fiducia nelle banche e di generare instabilità: parola di Fabio Panetta, vicedirettore generale di Bankitalia, intervenuto con un discorso all’incontro a Bologna dell’Ucid (Unione cristiana imprenditori dirigenti).
Bail-in: una parola che è entrata ufficialmente nel vocabolario degli italiani, ufficialmente, il 1° gennaio del 2016, e che subito è stata associata all’altro termine, di significato più immediato, di prelievo forzoso, facendo accapponare la pelle soprattutto ai correntisti italiani.
Da allora sono passati tre anni e l’istituto continua a spaventare il mondo del risparmio e degli investimenti, tant’è che Bankitalia e Abi fanno fronte comune contro la misura, contenuta nella direttiva europea Brrd, che disciplina la gestione delle crisi bancarie.
Nello specifico l’istituzione dell’Ue prevede che, in caso di risoluzione delle banche, a pagare siano in primis i correntisti con depositi superiori a 100.000 euro; e, successivamente, gli azionisti e gli obbligazionisti.
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Così Fabio Panetta, che ha ricevuto poi l’assist di Antonio Patuelli, numero uno dell’ABI:
“In Europa è stata avviata l’Unione bancaria, che ha visto la creazione di un meccanismo unico di vigilanza (Single Supervisory Mechanism, SSM) e di un meccanismo unico di risoluzione delle crisi (Single Resolution Mechanism). Sono mutate radicalmente le norme per la gestione delle crisi bancarie, oggi definite dalla direttiva su Bank Recovery and Resolution – la cosiddetta BRRD, che pone il costo delle crisi innanzitutto sulle spalle dei creditori delle banche, attraverso lo strumento del bail-in e dalle regole europee sugli aiuti di Stato. Il nuovo sistema ha mostrato numerosi aspetti critici che rendono la sua applicazione problematica”.
Panetta si è riferito, in particolare, a due di questi aspetti critici:
“In primo luogo, l’esperienza mostra che l’applicazione del bail-in rischia di minare la fiducia nelle banche e generare instabilità; non è un caso che le autorità in più paesi tendano a evitare di applicare tale strumento, sinora utilizzato sporadicamente. Avendo presente che le norme europee riducono drasticamente i margini per l’azione pubblica e che nella lunga fase di transizione le passività bancarie previste dalla BRRD per far fronte al bail-in non saranno pienamente disponibili, è auspicabile che un tale rischio sia tenuto in conto dal legislatore e dalle autorità responsabili degli interventi. Inoltre, l’orientamento che si va affermando a livello europeo secondo cui la procedura di risoluzione va applicata a poche decine di grandi intermediari dell’eurozona mentre gli altri – quasi 3.000 – andrebbero sottoposti a liquidazione ordinaria può avere conseguenze negative”.
A tal proposito, Panetta ha fatto notare che le “banche medie non sono abbastanza tutelate in caso di crisi, e ha avvertito che “la liquidazione disordinata – in gergo, ‘atomistica’ – di una banca distrugge valore, infligge costi altrimenti evitabili ai clienti degli intermediari coinvolti, lacera la fiducia del pubblico nel sistema bancario, generando rischi di contagio”.
Di conseguenza, “anche su questo sono auspicabili interventi che prevedano meccanismi – quali l’intervento dei fondi di garanzia dei depositi – in grado di assicurare l’uscita ordinata dal mercato delle banche in crisi”.
Come è avvenuto, per esempio, nel caso degli Stati Uniti:
“Altri paesi dispongono di un assetto che ha consentito di gestire un numero elevato di crisi di banche – oltre 500 negli Stati Uniti nell’ultimo decennio – con ripercussioni trascurabili sull’economia e sui risparmiatori. Affinché il nuovo assetto normativo conferisca stabilità al sistema creditizio europeo e nazionale occorre completare l’Unione bancaria, attivando con rapidità un solido sostegno (backstop) per il fondo di risoluzione unico e una assicurazione comune dei depositi. Sono iniziative che, nel condividere i rischi nell’area dell’euro, ne faciliterebbero la riduzione”.
“Ma la condivisione è auspicabile se si riducono tutti i rischi – non solo alcuni – ai quali le banche europee sono esposte. I rischi creditizi, tipici delle nostre banche, sono da tempo al centro dell’attenzione delle autorità e degli analisti e sono in forte calo. Come ho osservato in passato, è nell’interesse di tutti che il calo prosegua con la giusta gradualità e con la necessaria flessibilità, tenendo conto delle condizioni dei singoli intermediari e di quelle del sistema creditizio nel suo complesso. Al contrario, il contenimento dei rischi di mercato derivanti dal possesso di strumenti finanziari opachi e illiquidi registra progressi insufficienti: l’esposizione delle maggiori banche dell’area dell’euro agli strumenti cosiddetti “di secondo e terzo livello”– che includono strumenti derivati – è ancora dell’ordine di 6.000 miliardi di euro, un multiplo elevato sia del capitale delle banche che li detengono, sia dei crediti deteriorati netti di tutte le banche dell’eurozona. Nell’ambito del SSM abbiamo recentemente avviato una ricognizione approfondita su questa tipologia di rischi”.
Le critiche al bail-in non sono sicuramente cosa nuova. Basti pensare a quanto aveva detto mesi fa lo stesso numero uno dell’ABI, Antonio Patuelli, quando ne aveva auspicato il cambiamento, in quanto contrario alla Costituzione italiana.
Anche Patuelli era presente al convegno di Bologna, dove è intervenuto Fabio Panetta. Il numero uno dell’Abi ha confermato l’asse Bankitalia-ABI sulla necessità che le regole europee vengano modificate:
“Abbiamo bisogno di un 2019 con meno polemiche e più incentivi allo sviluppo. Viviamo in un’Italia dove c’è un eccesso di polemiche, ma a noi banche interessano le soluzioni», ha detto il numero uno dell’Associazione bancaria italiana, sottolineando che “non chiediamo incentivi alle banche, ma alle imprese serie e trasparenti, in regola con le tasse, incentivi alle famiglie che vogliono comprare casa, il rifinanziamento del fondo per i giovani per la prima casa”.
“Chiediamo – dunque – provvedimenti che diano una nuova fiducia al Paese, perché senza fiducia il Paese non cresce e la fiducia non può essere un fatto scontato”.
E bisogna iniziare proprio a risolvere il problema delle regole europee:
“Senza testi unici l’Europa non cresce: senza avere regole comuni, sarà difficile ottenere una solidarietà comune. L’Unione bancaria non può crescere, se non ci sono regole identiche, di diritto bancario, finanziario, ma soprattutto di diritto penale dell’economia”.