Italia “rentier” che non investe e accumula risparmi, millennials più poveri dei nonni
Italia in surplace senza capacità di investire sul futuro, immobilizzata dall’insicurezza. E’ il quadro dipinto dal 50° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese. Dall’inizio della crisi gli italiani hanno accantonato 114 miliardi di euro di liquidità aggiuntiva e le aspettative degli italiani continuano a essere negative o piatte. Il 61,4% è convinto che il proprio reddito non aumenterà nei prossimi anni, il 57% ritiene che i figli e i nipoti non vivranno meglio di loro (e lo pensa anche il 60,2% dei benestanti, impauriti dal downsizing generazionale atteso). Il 63,7% crede che, dopo anni di consumi contratti e accumulo di nuovo risparmio cautelativo, l’esito inevitabile sarà una riduzione del tenore di vita.
La liquidità totale di cui dispongono in contanti o depositi non vincolati (818,4 miliardi di euro al secondo trimestre del 2016) è pari al valore di una economia che si collocherebbe al quinto posto nella graduatoria del Pil dei Paesi Ue post-Brexit, dopo la Germania, la Francia, la stessa Italia e la Spagna. Quasi il 36% degli italiani tiene regolarmente contante in casa per le emergenze o per sentirsi più sicuro e, se potessero disporre di risorse aggiuntive, il 34,2% degli italiani le terrebbe ferme sui conti correnti o nelle cassette di sicurezza.
Con una incidenza degli investimenti sul Pil pari al 16,6% nel 2015, l’Italia si colloca non solo a grande distanza dalla media europea (19,5%), da Francia (21,5%), Germania (19,9%), Spagna (19,7%) e Regno Unito (16,9%), ma è tornata ai livelli minimi dal dopoguerra. “Emerge una Italia rentier, che si limita a utilizzare le risorse di cui dispone senza proiezione sul futuro, con il rischio di svendere pezzo a pezzo l’argenteria di famiglia”, sentenzia il rapporto Censis.
Giovani più poveri dei nonni
Il rapporto Censis evidenzia come un inedito e perverso gioco intertemporale di trasferimento di risorse ha letteralmente messo ko economicamente i millennial. Rispetto alla media della popolazione, oggi le famiglie dei giovani con meno di 35 anni hanno un reddito più basso del 15,1% e una ricchezza inferiore del 41,1%. Nel confronto con venticinque anni fa, i giovani di oggi hanno un reddito del 26,5% più basso di quello dei loro coetanei di allora, mentre per gli over 65 anni è invece aumentato del 24,3%. La ricchezza degli attuali millennial è inferiore del 4,3% rispetto a quella dei loro coetanei del 1991, mentre per gli italiani nell’insieme il valore attuale è maggiore del 32,3% rispetto ad allora e per gli anziani è maggiore addirittura dell’84,7%. Il divario tra i giovani e il resto degli italiani si è ampliato nel corso del tempo, perché venticinque anni fa i redditi dei giovani erano superiori alla media della popolazione del 5,9% (mentre oggi sono inferiori del 15,1%) e la ricchezza era inferiore alla media solo del 18,5% (mentre oggi lo è del 41,1%).
Lavoro: è boom dei “lavoretti”
Tra il 2013 e il 2015 c’è stato il recupero di 274.000 occupati. Nel primo semestre del 2016 l’andamento dell’occupazione è ancora positivo, con una variazione pari a +1,5% rispetto allo stesso semestre del 2015. Nel periodo gennaio-agosto 2016, inoltre, il contratto a tempo indeterminato è stato utilizzato nel 21,3% dei rapporti di lavoro attivati (nel 2015 la quota era molto più alta: 32,4%). I contratti a termine sono il 63,1% del totale. L’innovazione normativa (decontribuzione e Jobs Act con i contratti a tutele crescenti) ha quindi fatto fibrillare il mercato del lavoro. Boom dei voucher: 277 milioni di contratti stipulati tra il 2008 e il 2015 (1.380.000 lavoratori coinvolti, con una media di 83 contratti per persona nel 2015) e 70 milioni di nuovi voucher emessi nei primi sei mesi del 2016. È il segnale che la forte domanda di flessibilità e l’abbattimento dei costi stanno alimentando l’area delle professioni non qualificate e del mercato dei «lavoretti». Alla nuova occupazione creata ha infatti corrisposto una bassa crescita economica. I nuovi occupati dall’inizio del 2015 sono associati a una produzione di ricchezza di soli 9.100 euro pro-capite. La produttività si è ridotta da 16.949 euro per occupato (I trimestre 2015) a 16.812 euro (II trimestre 2016). Se la produttività fosse rimasta costante, nell’ultimo anno e mezzo il Pil sarebbe cresciuto complessivamente dell’1,8% e non solo dello 0,9% come invece abbiamo registrato.