Da Intesa SanPaolo si ad acquisto banche venete. L’impatto sui soci e detentori dei bond
Alla fine il sì di Intesa SanPaolo per rilevare gli asset performanti delle banche venete è arrivato. Ma a condizioni ben precise. Dal cda della banca è arrivato l’ok all’acquisizione “condizionata” di una parte degli asset di Popolare di Vicenza e Veneto Banca, nell’ambito dello schema di salvataggio che appare quello più probabile: quello della liquidazione ordinata, che prevede la separazione tra bad bank e good bank.
Intesa SanPaolo: acquisto esclude aumento capitale
Intesa SanPaolo è pronta all’acquisto, di fatto, “purché a condizioni e termini che garantiscano, anche sul piano normativo e regolamentare, la totale neutralità dell’operazione rispetto al Common Equity Tier 1 ratio e alla dividend policy del Gruppo Intesa Sanpaolo. La disponibilità di Intesa Sanpaolo all’operazione esclude pertanto aumenti di capitale”.
Di conseguenza, il progetto di acquisizione esclude che vengano rilevati “i crediti deteriorati, i crediti in bonis ad alto rischio e le obbligazioni subordinate emesse, nonché partecipazioni e altri rapporti giuridici considerati non funzionali all’acquisizione”.
La nota di Intesa SanPaolo continua, aggiungendo che:
“il trasferimento delle attività e passività” oggetto dell’acquisizione “avverrà a fronte di un corrispettivo simbolico”.
Intesa SanPaolo: acquisto esclude aumento capitale
Per concludere:
“Necessaria per la conclusione e l’efficacia dell’operazione una cornice legislativa, approvata e definitiva, che, fra l’altro, assicuri le misure necessarie per raggiungere gli obiettivi della totale neutralità dell’operazione rispetto al Common Equity Tier 1 ratio e alla dividend policy del Gruppo, la copertura degli oneri di integrazione e razionalizzazione connessi all’acquisizione e la sterilizzazione di rischi, obblighi e impegni comunque avanzati nei confronti di Intesa Sanpaolo per fatti antecedenti la cessione o relativi a cespiti e rapporti non compresi nelle attività e passività trasferite”.
Intesa SanPaolo: nessun impatto sui dividendi. Nota Banca Akros
Così gli analisti di Banca Akros commentano la decisione del cda e analizzano l’impatto dell’operazione sul titolo Intesa SanPaolo:
La nota conferma che “Intesa SanPaolo è disponibile (all’acquisizione delle due banche venete), a condizione che i termini relativi e le condizioni siano garantire, anche a livello legale e di regolamentazione, che la transazione sia del tutto neutrale sia in termini di impatto sul CET1 ratio che sulla politica dei dividendi”
Di conseguenza, continua la nota di Banca Akros, “la potenziale transazione esclude un qualsiasi aumento di capitale per la banca”. Il commento degli analisti è che: in base a indiscrezioni stampa, gli asset totali che saranno trasferiti a Intesa SanPaolo avrebbero un valore compreso tra 35-40 miliardi. Con un risk-weigting del 50%, “ciò avrebbe un impatto di 75-80 punti base sul CET1 ratio, che sarebbe compensato solo da un bargain purchase da $2,5 miliardi, che fosse riconosciuto in via anticipata nella finalizzazione dell’accordo. Dunque, riteniamo che sia necessario che fondi pubblici di un ammontare simile dovrebbero essere investititi nelle “good bank” prima dell’accordo”.
Banche venete: quale sarà impatto su obbligazionisti
A questo punto, quale sarà l’impatto sui detentori delle obbligazioni, su cui Fitch ha tra l’altro lanciato un allarme recente?
Una soluzione del genere implicherebbe comunque il bail-in dei detentori degli azionisti e deei detentori di obbligazioni subordinate, dunque junior. Il governo punta tuttavia a limitare al massimo i danni, facendo in modo che gli investitori retail che hanno puntato sui bond subordinati possano essere rimborsati, magari nell’ambito della disciplina sul “misselling”, ovvero nel caso riescano a provare di essere stati vittime di una vendita fraudolenta.
Lo schema a cui il governo starebbe ora puntando prevede la creazione di una bad bank, attraverso i fondi pubblici. Successivamente, attraverso la ripulitura dei bilanci, che verrebbero depurati dai crediti deteriorati, si arriverebbe a una nuova banca che avrebbe solo asset performanti: una good bank, dunque.
Lo Stato farebbe la sua parte erogando risorse alla bad bank, esattamente 5 miliardi di euro che stando ai piani precedenti avrebbero rappresentato il conto della ricapitalizzazione precauzionale. Tali risorse sarebbero utilizzate per dare il via allo spin-off degli Npl delle banche venete, calcolati in 10 miliardi.
Intesa SanPaolo acquisirebbe gli asset performanti, dunque la good bank, a un prezzo simbolico che, secondo indiscrezioni, dovrebbe essere di 1 euro, così come è stato il prezzo simbolico che Ubi Banca ha versato per l’acquisto delle tre good bank Banca Etruria, Banca Marche e CariChieti, reduci, insieme a CariFerrara, dal processo di risoluzione che fece perdere i risparmi di una vita a diversi risparmiatori.
Intesa SanPaolo, cosa guadagnerà con acquisizione banche venete
E intanto il Corriere della Sera scrive, riferendosi all’accordo:
“Intesa prende, ma nulla vuole dei guai miliardari causati dal crac delle due venete. Ben si comprende il perché, visto che è già oggi la prima banca del Nordest con un numero di sportelli (800) molto vicino a quello che sommano Vicenza e Veneto. Il nodo degli esuberi sarà quindi una delle partite più delicate”.
Esattamente, cosà andrà a finire a Intesa SanPaolo, al prezzo simbolico di 1 euro, delle banche venete?
Ricorda Il Fatto Quotidiano:
“Su suggerimento dell’ad di Intesa, Carlo Messina, lo schema prevede la creazione di due bad bank e due good bank dalle ceneri delle venete. Nelle seconde finisce tutta la parte sana degli istituti: 32 miliardi di impieghi; la raccolta dalla clientela, che a fine 2016 era di 28 miliardi; gli 11 mila dipendenti; i 13 miliardi di euro di obbligazioni “senior” e probabilmente anche i 10 miliardi di bond emessi da febbraio scorso con garanzia pubblica per far fronte alla crisi di liquidità. Saranno vendute all’asta entro il weekend. Alle bad bank vengono invece ceduti i 10,2 miliardi di crediti deteriorati che piombano i bilanci, e lo Stato si impegna a ricapitalizzarle. Per Bruxelles è un aiuto pubblico che viola la concorrenza e quindi vanno accollate perdite anche ai creditori”.
I numeri delle perdite: 170.000 soci e 1,3 miliardi di bond subordinati
Continua Il Fatto:
“Per questo ci finiranno non solo le azioni in mano a circa 170 mila soci ma anche gli 1,3 miliardi di euro di bond subordinati, di cui almeno la metà in mano a piccoli risparmiatori. In teoria potranno essere rifusi – dopo lo Stato – se la bad bank farà plusvalenze vendendo i crediti deteriorati. In pratica sono azzerati. È il modello usato a novembre 2015 su Banca Etruria, Marche, CariFe e CariChieti che ha azzerato oltre 2 miliardi in mano a 120 mila risparmiatori e a oggi le banche italiane ancora non hanno rivisto un euro dei 4 miliardi versati per ricapitalizzarle. E non è finita. Tra i soci delle venete c’è ovviamente l’azionista di controllo, il fondo Atlante che per salvare le due banche ha immolato 3,5 miliardi, soldi messi dalle banche italiane, dalle fondazioni bancarie e dalla pubblica Cassa depositi e prestiti”.