Ingresso Tesla nello S&P 500. Smart Beta lanciano codice rosso per ETF e fondi passivi: la storia parla chiaro
L’ingresso di Tesla nell’indice S&P 500, che sarà ufficializzato nella seduta di oggi, lunedì 21 dicembre 2020, decreterà per caso la fine del rally storico. che ha portato le quotazioni a volare dell’800% dai minimi di marzo e del 700% dall’inizio dell’anno?
A porre l’interrogativo sono alcuni nerds di Wall Street, come li chiama Bloomberg, che includono esperti di finanza quantitativa: esperti che, di solito, sono attivi tra gli “smart beta”, portafogli di investimento ibridi che offrono i vantaggi delle strategie passive insieme a quelli delle strategie attive (come il caso degli ETF Smart Beta).
Tra i pionieri delle Smart Beta c’è Rob Arnott, che ha pubblicato diversi studi da cui emerge che le cosiddette mega cap – come Tesla – hanno il potenziale di danneggiare i ritorni dei fondi passivi: gli stessi che, nelle settimane scorse, hanno fatto incetta dei titoli del colosso delle auto elettriche fondato da Elon Musk, per assicurarsi che i loro indici (nel caso degli ETF sullo S&P 500) replicassero fedelmente il ‘nuovo’ S&P 500, ovvero l’indice aggiornato con l’ingresso di Tesla.
Insieme a un collega di Reasearch Affiliates, Arnott ha scritto un paper intitolato “Tesla — The Largest-Cap Stock Ever to Enter S&P 500: A Buy Signal or a Bubble?”, ovvero “Tesla – il titolo large cap più grande della storia entra nello S&P 500: un segnale Buy o una Bolla“?
A supporto della teoria secondo cui le new entry delle mega cap nuocerebbero i fondi passivi, vengono presentati dati storici, relativi a un arco di tempo di 31 anni: da questi numeri emerge che, quando una società raggiunge una capitalizzazione tale da riuscire ad aggiudicarsi uno dei primi 100 posti dello S&P 500 (e Tesla sarà la sesta dell’indice), le sue quotazioni tendono a scendere del 7%, in media, l’anno successivo al debutto.
I titoli delle società che sono state invece ‘cancellate’ tendono a battere il listino di ben il 20%.
Il paper arriva alla conclusione secondo cui, nei 12 mesi successivi l’ingresso di una mega gap e/o la cancellazione di una azione dall’indice di riferimento, il gap che si viene a creare tra la performance del titolo mega cap e quella del titolo eliminato è pari al 24%.
Tutto questo, si legge nel paper, viene pagato caro dagli investitori, che vengono esposti a quello che Arnott definisce un problema fondamentale degli indici market-cap, che sono fin troppo dipendenti dalla capitalizzazione di mercato delle azioni che includono. Azioni che potrebbero aver terminato la loro corsa proprio una volta entrate, nel caso specifico, nel listino S&P:
“L’aggiunta di Tesla descrive bene quanto sosteniamo – ha detto Arnott, contattato telefonicamente da Bloomberg – Il titolo è volato dell’800% dai minimi di marzo. E ora volete aggiungerlo (allo S&P 500)?“.
Tesla entra nell’Olimpo della borsa Usa: ma alert anche su risparmi pensionistici
Arnot non è l’unico a non esultare per l’ingresso, tra l’altro molto atteso, del titolo Tesla nell’Olimpo della borsa Usa. Proprio questa attesa tra l’altro, ha fatto volare le quotazioni del gruppo di oltre +50% dalla metà di novembre, quando la società che gestice l’indice, S&P Dow Jones Indices, ha annunciato che avrebbe consentito l’inclusione di Tesla il mese successivo. (in precedenza la società si era rifiutata di dare il via libera all’entrata, fattore che aveva provocato grande sconcerto tra gli investitori).
Da quando l’autorizzazione è arrivata, si è riattivata insomma la febbre per il titolo. Che ora potrebbe essere però arrivata al capolinea anche secondo Vincent Deluard, strategist di StoneX che, sempre stando a quanto riporta Bloomberg, ha scritto una nota “Time to Fire the S&P 500 Index Committee”, ovvero “E’ il momento di licenziare la Commissione dell’indice S&P 500”, spiegando che la decisione di posticipare l’ingresso di Tesla, oltre a provocare il “trasferimento dei risparmi pensionistici agli speculatori”, costerà agli investitori più di $500 miliardi.
Da segnalare che il titolo Tesla al momento viene scambiato a un valore pari a 20 volte il fatturato del colosso e a quasi 10 volte la valutazione dell’indice S&P 500.
La sua aggiunta, ricorda l’articolo di Bloomberg, sta già scatenando il boom degli acquisti delle azioni, per miliardi di dollari, da parte dei fondi che replicano il listino, e che hanno un valore stimato complessivo di $4,5 trilioni.
Il punto è che la domanda di titoli Tesla, avverte Dimensional Fund Advisors (che ha incluso comunque Tesla nei suoi fondi negli ultimi nove anni) si concentrerà su “un lasso di tempo artificialmente corto” distorcendo ulteriormente i prezzi, visto che i fondi dovranno apportare gli aggiustamenti nella data effettiva (dell’ingresso del titolo).
Detto questo Wes Crill, ricercatore senior presso il gigante di finanza quantitativa, ha spiegato che “l’obiettivo di un gestore di fondi indicizzati non è quello di aumentare i ritorni attesi dagli investitori, ma di minimizzare l’errore di tracciamento. Esiste insomma “un costo per gli investitori che, in qualche modo, è quasi forzato, visto che agli stessi viene detto cosa fare e quando farlo, in base a un indice”. E’ più importante riuscire a replicare l’indice, in poche parole, che valutare esattamente quello che fa una società in cui si investe.
Detto questo è lo stesso Cris ad avvertire nell’intervista a Bloomberg che, al momento, “sarebbe un gioco molto pericoloso” scommettere contro Tesla. Allora, cosa dovrebbero fare gli investitori, più in generale? Semplicemente, a suo avviso, non avere il titolo in portafoglio.