Inflazione Usa, in arrivo il dato che può cambiare i piani della Fed
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Fonte immagine: istock
Mercati sul chi va là, in attesa del rapporto di domani sull’inflazione degli Stati Uniti. Si tratta dell’ultimo set di dati chiave prima della riunione della Fed del 17-18 dicembre, l’unico potenzialmente in grado di scombinare le carte dei responsabili di politica monetaria. Una sorpresa negativa potrebbe rimandare il taglio dei tassi attualmente previsto con una probabilità superiore all’85%.
Inflazione Usa attesa in aumento al 2,7%
Sulla base del consensus raccolto da Bloomberg, gli analisti prevedono un’accelerazione dell’inflazione a novembre, con un dato core ostinatamente superiore al 3%, ben lontano dal target del 2% della Fed.
Nel dettaglio, anno su anno, l’indice dei prezzi al consumo dovrebbe registrare un aumento del 2,7% rispetto al 2,6% di ottobre. Il Cpi core, calcolato al netto dei prezzi alimentari ed energetici, è atteso stabile al 3,3%.
Su base mensile gli economisti indicano un incremento dello 0,3% sia per l’inflazione headline (+0,2% a ottobre) sia per la metrica che esclude le componenti più volatili (in linea con il mese precedente).
Cpi core previsto stabile al 3,3%
L’indice core sembra dunque destinato a rimanere al 3,3% per il terzo mese consecutivo, dopo aver toccato un minimo del 3,2% a luglio. Un lieve rallentamento dell’inflazione nel settore degli alloggi dovrebbe essere compensato da una modesta ripresa di altri beni e servizi di base.
Secondo gli analisti, i dati in uscita il 20 dicembre (dopo la riunione della Fed) sul Pce core, l’indicatore di inflazione preferito dalla Fed, mostreranno un’accelerazione al 2,9% su base annua a novembre, rispetto al 2,8% di ottobre.
Le previsioni di Goldman su inflazione Usa a fine 2025
Le stime di Goldman Sachs sul report di domani sono sostanzialmente in linea con il consensus. Il team della banca d’affari americana prevede per l’indice core un aumento mensile dello 0,28% e un tasso di espansione annuo del 3,27%.
Goldman si aspetta di riscontrare tre tendenze chiave in questo rapporto: un aumento del 2,0% dei prezzi delle auto usate, un incremento dell’1,0% delle tariffe aeree e un modesto rimbalzo delle assicurazioni auto (+0,5%).
Nel 2025 il broker prevede un’ulteriore disinflazione, grazie al riequilibrio nei mercati dell’auto, degli affitti e del lavoro, parzialmente compensata da un’escalation nella politica tariffaria. Le stime per il mese di dicembre del prossimo anno indicano un’inflazione Cpi core del 2,7% e un Pce core del 2,4% su base annua.
Inflazione può cambiare i piani della Fed
I dati di domani potrebbero essere decisivi per la decisione della Federal Reserve della prossima settimana. Lo scenario base è quello di un taglio dei tassi di interesse di 25 punti base, che porterebbe i Fed funds rate nel range 4,25-4,50%. Tuttavia, come sottolineato da Mps capital Services, “un aumento deciso dell’inflazione potrebbe impedire alla Fed di tagliare”.
Il rapporto sui prezzi al consumo arriva a pochi giorni di distanza da quello sul mercato del lavoro americano, che ha fornito un quadro contrastante. Da un lato, le buste paga sono aumentate in misura leggermente superiore alle attese (227mila), dall’altro il tasso di disoccupazione è salito al 4,2% e la crescita dei salari è rimasta su livelli decisamente elevati (+4% a/a).
“Bad news is good news”, ma per quanto?
Secondo Bloomberg Intelligence, il report sull’occupazione è stato forse accolto in maniera fin troppo positiva dai mercati. Le nuove buste paga potrebbero essere riviste al ribasso, mentre il tasso di disoccupazione è andato molto vicino ad essere arrotondato al 4,3% (4,246%), un livello che forse avrebbe potuto spaventare maggiormente gli investitori.
Per il momento, sembra che il mercato non dubiti delle solide basi dell’economia statunitense e che sia tornato a reagire in maniera positiva alle “cattive” notizie, poiché supportano le aspettative di tagli dei tassi della Fed.
Nei prossimi mesi, però, lo scenario potrebbe cambiare. Con un progressivo deterioramento del mercato del lavoro e un contemporaneo stop del processo disinflazionistico, il sentiment potrebbe peggiorare, determinando ripercussioni negative sulle valutazioni degli asset rischiosi, fra cui l’azionario.