Il sottile intreccio tra dollaro, petrolio e oro. Un’analisi delle correlazioni
Nelle ultime settimane, il dollaro statunitense è tornato ad essere protagonista sui mercati internazionali, mettendo a segno un formidabile rialzo nei confronti delle altre divise e in particolare dell’euro. Questo rialzo del biglietto verde sta avendo un impatto significativo anche sull’andamento delle altre asset class, tra cui quelle più sensibili e ad esso legate come petrolio e oro.
In questo articolo ci soffermiamo proprio sull’andamento di breve periodo queste tre asset class (dollaro, petrolio e oro), chiarendo le dinamiche macroeconomiche che muovono i prezzi e i livelli tecnici più importanti da monitorare.
L’indice del dollaro sui massimi di 1 anno fa
La forza del dollaro delle ultime settimane è guidata principalmente dalla resilienza dei dati macroeconomici statunitensi, con l’indice ISM, l’indicatore che viene usato per valutare lo stato di salute del settore manifatturiero americano, che ieri è balzato oltre le attese, mantenendosi comunque poco sotto la soglia chiave dei 50 punti, livello che fa da spartiacque tra espansione e contrazione dell’attività.
Da fine agosto abbiamo registrato un incremento di oltre il 3,8% dell’indice del dollaro (Dollar Index), performance che raggiunge il +7,3% se prendiamo in considerazione i minimi raggiunti a fine luglio di quest’anno (+3,3% da inizio anno).
L’indice del dollaro adesso quota 107 e con il recente rialzo (a partire da luglio di quest’anno), si è riportato sui livelli mai più ritestati da fine novembre 2022. Ecco che in caso di proseguimento della forza, una fase di accumulazione dell’area dei 107 potrebbe spingere il Dollar Index verso la successiva area di resistenza prima a quota 107,9 – 108 e poi verso i massimi del 2022 a quota 113.
Al contrario, è possibile un ritracciamento di breve periodo dell’indice del dollaro, ma in questo caso bisognerà assistere ad un breakout deciso dell’area supportiva a quota 106. Se così fosse le successive aree di supporto sono in area psicologica dei 104 – 105.
Death cross su Euro/Dollaro (sui minimi di 1 anno)
Come è ovvio, in seguito ad un rafforzamento dell’indice del dollaro, abbiamo assistito nelle ultime settimane ad un apprezzamento del dollaro verso la maggior parte delle principali valute.
In questo contesto, il cambio principale Eur/Usd ha chiuso la scorsa ottava ancora in calo (l’undicesima settimana consecutiva di ribasso), e questo sulla scia del forte rialzo dei rendimenti negli USA, ma anche a causa del clima di avversione al rischio sui mercati finanziari.
L’euro ha chiuso la scorsa settimana sotto l’area di 1,05, portandosi così sui livelli di prezzo che non si vedevano da un anno. L’euro è stata una delle peggiori valute dei G10 e il suo andamento è stato penalizzato dal rallentamento superiore alle attese dell’inflazione di settembre, il che supporta la fine del ciclo di rialzo dei tassi da parte della BCE.
Come vediamo dal grafico qui sopra (che rappresenta l’andamento del major cross da settembre dello scorso anno), il cambio euro/dollaro dopo essersi spinto, a cavallo tra luglio e agosto di quest’anno, fino a quota 1,12, ha invertito nuovamente la tendenza, perdendo da quel livello quasi il 7%. Nella seduta di oggi il cross sta provando a rimbalzare e tenere i livelli attuali, anche se sarà difficile recuperare già questa settimana il terreno perso nell’ultimo trimestre.
Il sentiment sul cambio è peggiorato anche in seguito alla rottura del supporto, ora principale resistenza a quota 1,06.
Dal punto di vista tecnico, si segnala che a inizio settembre il cambio ha rotto al ribasso anche le principali medie mobili a 50 e 200 periodi, e dopo i cali delle ultime sedute si è verificato il Death Cross, l‘incrocio della morte, ovvero la situazione in cui la media mobile a 50 giorni (linea blu) incrocia verso il basso la media mobile a 200 giorni (linea arancione). Ecco che questo rappresenta in analisi tecnica un segnale di debolezza e potrebbe innescare un’ulteriore ribasso del cambio.
Petrolio consolida l’area dei 90 $/barile
Come dicevamo il rialzo del dollaro statunitense ha un impatto significativo sull’andamento delle altre asset class. In primo luogo dobbiamo considerare la relazione inversa tra dollaro e il petrolio. I barili di petrolio (sia Brent che Wti) sono infatti quotati in dollari e quindi se il valore del dollaro sale (come nel caso attuale) i compratori stranieri dovranno pagare di più per acquistare petrolio, il che porta a una diminuzione della domanda di greggio e, di conseguenza, ad un calo del prezzo.
Al contrario, se il dollaro scende, allora per comprare una determinata quantità di petrolio bisogna usare più dollari e questo determina una rialzo di prezzo del greggio.
Attenzione però a non consolidare sempre perfetta e veritiera questa legge di correlazione inversa tra petrolio e dollaro, infatti, in alcune situazioni di forte incertezza economica o geopolitica il prezzo del petrolio può aumentare anche se il dollaro si rafforza.
I livelli da monitorare sul petrolio
Il Brent dopo aver toccato il massimo da novembre oltre i 97 $/b, ha invertito la tendenza tornando prima sotto i 93$/b e poi addirittura sotto i 90 dollari. Le quotazioni di oggi vedono i prezzi scambiare in prossimità del supporto posizionato poco sopra a quota 90 $/b e in caso di ulteriore debolezza. Un cedimento di questo livello coinciderebbe anche con il breakout della trendline rialzista (linea blu) e potrebbe riportare l’oro nero verso gli 85 dollari al barile. Al contrario, la tenuta di quota 90 dollari potrebbe permettere un recupero di quota 95 dollari al barile.
L’oro torna sotto i 1.900 $
La forza del dollaro e il rialzo dei tassi di mercato sono riusciti a penalizzare l’oro, che fino ad ora aveva mostrato una fortissima resilienza. Dobbiamo considerare infatti che generalmente il prezzo dell’oro è inversamente correlato all’andamento del dollaro americano.
L’oro è infatti più sensibile al movimento del dollaro ed è addirittura considerato (dall’analisi intermarket) anticipatore per l’intero mercato delle commodities. Il motivo di questa relazione inversa è spiegata dal fatto che il metallo giallo è denominato in dollari e quindi a parità di condizioni, un dollaro più forte tende a mantenere il prezzo dell’oro più basso. Al contrario, un dollaro Usa più debole con tutta probabilità spingerà il prezzo dell’oro più in alto attraverso l’aumento della domanda.
Da fine settembre il prezzo dell’oro ha perso oltre il 6%.
Dal punto di vista tecnico, il prezzo spot dell’oro nell’ultima settimana ha violato al ribasso il supporto statico collocato a 1.900 $/o, evento che ha dato luogo ad un’accelerazione al ribasso delle quotazioni che sembrano indirizzate a testare i supporti statici collocati prima a quota 1.840 e poi verso i minimi di marzo a quota 1.816 dollari.
Il prezzo dell’oro ora si trova (a conferma della debolezza in corso) al di sotto delle principali medie mobili a 50 e 200 periodi e solo un’adeguata fase di consolidamento sui livelli attuali potrebbe riportare i prezzi verso il livello spartiacque dei 1.900 dollari.