Notizie Criptovalute Il crollo delle criptovalute non impatterà l’economia reale secondo Matteo Ramenghi (UBS). Ecco perché

Il crollo delle criptovalute non impatterà l’economia reale secondo Matteo Ramenghi (UBS). Ecco perché

30 Maggio 2022 16:10

Il recente crollo delle criptovalute ha messo in discussione le argomentazioni degli investitori nei confronti di questa asset class, per più motivi. Il primo sicuramente è quello legato alla diversificazione rispetto ad altri investimenti come per esempio l’equity. Negli ultimi mesi abbiamo osservato una correlazione piuttosto importante tra la performance del mercato azionario e quella delle criptovalute. E dunque la prima assunzione di maggiore diversificazione rispetto alle altre asset classes non si è affatto verificata dall’inizio della fase turbolenta sui mercati.

Il secondo riguarda la presunta natura di “oro digitale” che offrirebbe protezione in caso di inflazione. In particolar modo i sostenitori puntano il dito contro le ingenti immissioni di liquidità delle banche centrali nell’ultimo decennio rispetto al numero limitato di unità proposto da alcune criptovalute. Anche questa ipotesi non ha retto la prova di un contesto di inflazione in aumento.

Il crollo delle criptovalute avrà ripercussioni economiche?

 “La correzione dei mercati finanziari di quest’anno non ha risparmiato nemmeno un’area controversa come le criptovalute: il Bitcoin, ha perso un terzo del proprio valore da inizio 2022 e circa la metà rispetto ai massimi dello scorso anno.

Altre criptomonete meno diffuse hanno registrato crolli ancora peggiori. Coinbase, una piattaforma americana per lo scambio di criptovalute, ha perso oltre il 70% del proprio valore da inizio anno”, scrive Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer UBS WM Italy

Le critiche a questo mondo non sono mai mancate: già nel 2018 il celebre investitore Warren Buffett, presidente di Berkshire Hathaway, aveva suggerito che “avrebbero fatto una brutta fine”. Lo scorso anno la Cina ne ha vietato il trading nonostante il suo impegno nel campo del blockchain, la tecnologia che ne è alla base, prosegue Ramenghi.

I crypto asset “non valgono nulla, sono basati sul nulla, non c’è alcun asset sottostante che funga da ancora di sicurezza”. Parole al vetriolo quelle pronunciate nei giorni scorsi dal presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde sulle criptovalute. Il timore – ha spiegato Lagarde – è per la sicurezza dei risparmiatori “che non hanno alcuna comprensione dei rischi, che rischiano di perdere tutto, ecco perché credo che dovrebbero essere regolamentati”.

Alla luce della rapida svalutazione delle criptovalute occorre chiedersi se questo fenomeno possa avere effetti economici. La storia insegna che quando si forma una bolla si registrano ingenti trasferimenti di valore. Chi ha venduto il Bitcoin a 70mila dollari oggi ha a disposizione una valuta che ha valore economico, il dollaro. Il compratore invece registra una perdita significativa ai prezzi attuali.

Se si registrano perdite di valore diffuse, come in occasione di un crollo della borsa, ci sono ricadute economiche sia per questioni pratiche, perché alcuni investitori potrebbero aver fatto affidamento su valori maggiori per finanziare il proprio stile di vita, sia per una questione di fiducia nell’economia: se questa manca aumenta la propensione al risparmio e diminuiscono i consumi, una componente fondamentale del PIL.

Ma le criptovalute non sono ampiamente diffuse: tutto sommato sono detenute da un numero limitato di persone che controllano il mercato e, probabilmente, hanno un atteggiamento speculativo che le rende meno sensibili alle perdite. Per questo non ci aspettiamo impatti economici significativi dalla correzione delle criptovalute, conclude Matteo Ramenghi.