Huawei: il voltafaccia è mondiale. Ma il gigante cinese pensa già a un proprio sistema operativo
Il voltafaccia globale al colosso cinese Huawei continua: dopo la decisione dell’amministrazione Trump di inserire il nome del colosso cinese nella lista nera delle società a cui è vietato fare affari con le aziende americane – a meno di una autorizzazione ad hoc da parte delle autorità Usa competenti – diversi gruppi anche non americani hanno deciso di dare il benservito al gigante di Shenzhen.
Gigante di Shenzhen che, però, sta dimostrando di avere tutta l’intenzione di reagire, optando per quella che potrebbe essere la scelta forse migliore, almeno per quanto concerne la sua dipendenza da alcuni software: recidere quel – almeno fino a oggi – cordone ombelicale che finora l’ha legata soprattutto a Google, con il sistema operativo Android.
Per non rimanere dipendente dal gigante americano, Huawei svilupperà infatti un sistema operativo tutto suo.
Ad annunciarlo è stato Richard Yu, responsabile della divisione consumer business del gruppo, che ha confermato le indiscrezioni che circolavano ieri.
Il sistema operativo ‘made in Huawei’, ha precisato, sarà lanciato al più presto in autunno e non oltre la primavera del 2020.
Yu ha sottolineato tuttavia che un tale scenario si realizzerà soltanto se alla società sarà completamente vietato l’utilizzo di software targati Google e Microsoft.
“Oggi, come Huawei, siamo ancora legati a Microsoft Windows e a Google Android. Ma se non potremo più usarli, prepareremo un piano B per utilizzare un nostro proprio OS”, ha detto ancora, intervistato dalla Cnbc, il dirigente.
Voltafaccia da Panasonic, ARM e Vodafone
Nel frattempo nuovi voltafaccia contro il colosso sono arrivati nelle ultime ore: l’ultimo è arrivato dal gruppo giapponese produttore di chip Panasonic, che ha reso nota l’intenzione di fermare le forniture di alcune componenti a Huawei, al fine di rispettare le restrizioni che gli Stati Uniti hanno imposto al gruppo cinese di infrastrutture per tlc.
“Panasonic ha ordinato ai suoi dipendenti di bloccare le transazioni con Huawei e con le sue 68 società affiliate, interessate dalla messa al bando Usa”, si legge in una nota dell’azienda giapponese.
Anche ARM ha detto stop: sebbene britannica, anche in questo caso la società è stata influenzata dalla decisione dell’amministrazione Trump di mettere al bando Huawei, in quanto alcuni design dei suoi processori vengono sviluppati in California e Texas.
Nel rendere inizialmente nota la decisione del gruppo, la BBC ha fatto notare che la mossa di ARM potrebbe provocare al gigante cinese “problemi insormontabili”. I design di ARM sono utilizzati infatti da diversi altri fornitori di chip.
Di conseguenza, Huawei potrebbe trovarsi a corto di rifornimento per i semiconduttori necessari ai suoi smartphone o alle sue reti.
ARM, infatti, pur producendo chip, non li vende direttamente ma ne commercializza la licenza (come nel caso dei processori Kirin che vengono utilizzati da Huawei proprio per la produzione dei suoi smartphone)”.
Voltafaccia anche da Vodafone, che ha comunicato un piano per sospendere gli acquisti di telefoni 5G di Huawei. “Sospendiamo gli acquisti di Huawei Mate 20X nel Regno Unito”, ha detto un portavoce di Vodafone, spiegando però che la sospensione sarà temporanea.
Per ora, la stessa messa al bando da parte degli Usa non è anncora operativa, in quanto sospesa per 90 giorni. Questo significa che – per ora – Huawei potrà utilizzare i sistemi operativi di Google e Microsoft e avvalersi anche di altre tecnologie Usa. L’incognita è su cosa accadrà dopo questo periodo di grazia accordato.