Notizie Valute e materie prime Goldman Sachs: materie prime in calo a doppia cifra nel 2014, peserà abbondanza dell’offerta e tapering

Goldman Sachs: materie prime in calo a doppia cifra nel 2014, peserà abbondanza dell’offerta e tapering

21 Novembre 2013 19:20

In arrivo nuovi cali per il comparto delle commodity. A dirlo è nientepopodimeno che Goldman Sachs, da sempre considerata la banca d’affari più rialzista sul settore delle materie prime (non a caso gli analisti di Goldman sono stati definiti i “perma-bulls”, i tori permanenti). Le cose cambiano e in un report dedicato ai dieci investimenti da effettuare l’anno prossimo, il colosso newyorkese assegna alle materie prime la nona posizione a causa di “ribassi significativi” attesi da qui a fine 2014.

Il capo economista Dominic Wilson e il suo team hanno ribadito che il trend principale per il comparto, che da inizio anno ha visto le quotazioni misurate dall’indice S&P GSCI scendere di quattro punti percentuali, sarà ribassista, visto che l’offerta di materie prime “continuerà a essere influenzata dai forti rialzi registrati dai prezzi negli ultimi anni.”

I nuovi massimi storici registrati da diverse materie prime negli ultimi anni hanno favorito gli investimenti che incrementando l’offerta penalizzeranno i prezzi. La situazione è tanto più evidente nel comparto agricolo dove è particolarmente facile per i coltivatori spostarsi da un anno all’altro sulle colture più redditizie facendone salire l’output.

Oltre che dall’aumento dell’offerta i prezzi saranno penalizzati dal miglioramento della congiuntura statunitense che, grazie “alla crescita di consumi privati e investimenti delle imprese”, permetterà alla banca centrale di ridurre gli acquisti di titoli (il c.d. tapering).

Nel dettaglio, da qui a fine 2014 Goldman stima un calo a doppia cifra per l’oro, -15% a 1.050 dollari l’oncia, per i semi di soia, -25% a 9,5 dollari/bushel, per il granoturco, -12% a 3,75 dollari, per il rame, -11% a 6.200 dollari la tonnellata, e per il minerale di ferro, -20% a 108 dollari/tonnellata. Più contenuta la contrazione del Brent, che dai 109 dollari attuali è visto a 105 dollari (-3,6%).

Oltre ai vantaggi per i consumatori, la banca statunitense si attende anche altri effetti positivi: la discesa dei prezzi del minerale di ferro favorirà l’indebolimento delle valute dei paesi produttori, come l’Australia e il Sud Africa, mentre la diminuzione delle quotazioni del metallo giallo ridurrà le pressioni inflazionistiche e migliorerà il saldo della bilancia delle partite correnti in mercati emergenti come Turchia e India.