Notizie Notizie Italia Fondazioni e banche, un legame indissolubile

Fondazioni e banche, un legame indissolubile

13 Giugno 2007 07:23

Il rapporto stretto che in Italia lega le fondazioni bancarie alle banche è stato molto dibattuto negli ultimi anni e spesso ha suscitato feroci polemiche. In realtà, dopo la legge Ciampi del 1999, che ha praticamente costretto le fondazioni a cedere la quota azionaria di controllo nell’istituto bancario di riferimento entro quattro anni, le cose sarebbero dovute cambiare radicalmente e il legame indissolubile fondazioni-banche si sarebbe dovuto spezzare. O almeno, questo era quanto ci si attendeva. Non a caso, dopo l’approvazione della legge Ciampi, molti commentatori sposavano gli slogan “liberare le fondazioni dalle banche” e “liberare le banche dalle fondazioni”. Ma, come spiega Renzo Costi della Voce.info nell’articolo “Fondazioni e banche, quel legame che non si spezza”, la situazione è ben diversa rispetto a quelle che erano le aspettative: “Oggi le fondazioni bancarie, pur avendo per lo più dismesso il controllo delle banche conferitarie, sono, nell’insieme, i soci di riferimento dei maggiori gruppi bancari italiani e continuano a esercitare un’influenza dominante nel disegnare le loro strategie e nel dare concreto contenuto alle scelte gestionali. Le fondazioni continuano a svolgere due mestieri, quello di ente non profit (che in teoria sarebbe la finalità per cui sono state create, ndr) e quello di influente gestore delle banche”.


Basti pensare al caso della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, che è stata costituita nel 1995 con il conferimento dell’attività bancaria da parte dell’ex Istituto di Credito di Diritto Pubblico nella Banca Monte dei Paschi di Siena spa. La fondazione, che nel febbraio del 2003 deteneva ancora una quota pari al 67,5% del capitale nell’istituto bancario di Rocca Salimbeni, fu subito dopo costretta a dismettere la propria partecipazione, a tal punto che ad oggi, secondo i dati messi a disposizione dalla Consob, risulta in possesso del 58,58% del capitale dell’istituto senese. Ovvero: nella pratica nulla è cambiato. E non stupisce quindi che le decisioni più importanti strategiche e di indirizzo riguardanti Mps siano ancora prese dalla fondazione, proprio come accadeva nel passato. Verso metà maggio infatti, rispondendo alle indiscrezioni secondo cui la banca senese sarebbe finita nel mirino dell’istituto spagnolo Bbva, la banca di Rocca Salimbeni si è trincerata dietro un bel “no comment”, ma  ha comunque ricordato che la fondazione ha dato mandato a un advisor, Jp Morgan, per studiare varie ipotesi di crescita esterna e che il tema riguarda quindi la Fondazione Mps, azionista di maggioranza.


D’altra parte, Costi ammette che “oggi c’è un sostanziale consenso nel sottolineare il ruolo che le fondazioni hanno avuto nel processo di aggregazione e di concentrazione del sistema bancario italiano”. Forse però, sempre secondo l’economista della Voce.info, è necessario domandarsi se la struttura proprietaria che ne è uscita, e che vede appunto in posizione eminente le fondazioni, sia ottimale per il sistema bancario. Ed ecco che qui riemergono i dubbi di sempre. Innanzi tutto le fondazioni non sono soggetti che hanno come primo obiettivo l’efficienza delle gestioni. In secondo luogo esse sono autoreferenziali e i loro gestori non rispondono del proprio operato come banchieri sulla base dei risultati delle gestioni bancarie, ma sulla base di fedeltà politiche o di altra natura. Terzo punto ma non meno importante, le fondazioni non sono in grado di assicurare, anche in futuro, un adeguato flusso di capitale proprio alle banche partecipate. “E questi dubbi – mette in evidenza Costi – trovano qualche conferma nel fatto che l’efficienza del nostro sistema bancario non sia, nonostante i progressi conseguiti, pari a quella riscontrabile in altri Paesi e che la trasparenza sia spesso appannata da scelte che sembrano mosse da disegni non compiutamente riconducibili a logiche di mercato”.