Fed, i rendimenti dei Treasury riducono la necessità di altri rialzi dei tassi
Un aumento sostenuto dei rendimenti dei Treasury USA a lungo termine potrebbe porre fine allo storico ciclo dei rialzi della banca centrale americana (Fed). Gli esponenti della Federal Reserve, hanno segnalato, che potrebbero smettere di aumentare i tassi di interesse se i rendimenti dei T-Note con lunga scadenza dovessero rimanere vicini ai livelli attuali e l’inflazione dovesse continuare a raffreddarsi.
Fed, i rendimenti dei T-note troppo elevati
La crescita dei rendimenti dei Titoli di Stato USA a lungo termine è iniziata dopo l’ultimo rialzo dei tassi della Fed di 25pb nel meeting di luglio. Il rendimento del Treasury a 10 anni ha recentemente sforato il 5%, ora in calo al 4,5% dopo l’attacco di Hamas contro Israele, che ha scatenato di nuovo la breve corsa degli investitori verso gli asset considerati beni rifugio.
La Fed ha intrapreso la sua campagna di rialzi dei tassi per sconfiggere l’inflazione rallentando l’attività economica. I costi di finanziamento più elevati portano a investimenti e spese più deboli, una dinamica che viene rafforzata quando i tassi più elevati pesano anche sui prezzi delle azioni e di altri asset.
In un discorso tenuto durante il meeting della National Association for Business Economics a Dallas, Lorie Logan, Presidente della Fed di Dallas, ha sottolineato che l’aumento dei rendimenti dei Treasury a lungo termine potrebbe contribuire a raffreddare l’economia, riducendo la necessità di un ulteriore inasprimento della politica monetaria.
L’attuale rialzo dei rendimenti dei Titoli di Stato USA sembra essere guidato da fattori che non possono essere facilmente attribuiti alle prospettive economiche o dalla politica della Fed, come è stato fatto appunto nei mesi scorsi. Ciò suggerisce che il cosiddetto premio a termine, o rendimento extra, richiesto dagli investitori per investire nell’asset con lunga scadenza, è in aumento.
“Se i tassi di interesse a lungo termine rimangono elevati a causa di premi a termine più elevati, potrebbe esserci meno bisogno di aumentare il tasso Fed”, ha detto ieri, il presidente della Fed di Dallas, Lorie Logan, membro votante del comitato di fissazione dei tassi della Fed. Le osservazioni di Logan rappresentano un notevole cambiamento rispetto a quelle di un funzionario della Fed che è stato uno dei principali sostenitori dell’aumento dei tassi quest’anno.
I premi a termine sono difficili da misurare con precisione. Logan ha delineato tre diversi approcci e ha concluso che, in tutte e tre le misure, almeno la metà dell’aumento dei rendimenti dei titoli del Tesoro a lungo termine dalla fine di luglio riflette premi a termine più elevati.
Le ultime mosse della Fed
A luglio la Fed ha alzato i tassi di riferimento portandoli in un intervallo compreso tra il 5,25% e il 5,5%, ovvero sui massimi da 22 anni. Mentre, nel mese di settembre, la banca centrale ha optato per un approccio “wait-and-see” mantenendo i tassi invariati, ma non hanno escluso del tutto un altro rialzo di 25pb entro fine anno.
Secondo CME Fed Watch Tool, le probabilità di lasciare i tassi invariati nel prossimo meeting di novembre sono superiori all’88%, mentre le probabilità di un ulteriore rialzo di 25pb sono dell’11%. Tanto dipenderà dal dato sull’inflazione in uscita giovedì alle 14:30. Le stime di consenso relativi all’inflazione core, depurati da beni alimentari ed energetici, indicano una crescita del 4,3% su anno e dello 0,3% su mese. Mentre, sempre nel mese di settembre, il dato headline, secondo le stime degli economisti, si dovrebbe segnare una crescita del 3,7% su base annuale e dello 0,6% su mese.