Notizie Notizie Italia Etf e swap, relazione pericolosa?

Etf e swap, relazione pericolosa?

17 Settembre 2008 13:11

Davvero gli Etf sono tutti uguali? Cosa spinge un investitore istituzionale a scegliere un Etf piuttosto che un altro? E ancora, cambia qualcosa anche per gli Etf con la crisi dei mercati finanziari e delle banche d’affari americane? Possono sembrare domande inutili per uno strumento che ha fatto della semplicità il suo punto di forza. Ma è sufficiente analizzare la struttura di un Etf per rendersi conto di quanto anche due strumenti in apparenza molto simili possano in realtà essere differenti. In pochi ad esempio fanno caso alla natura cash based o swap based di un Etf. I primi sono costruiti tramite l’investimento in titoli fisici, i secondi con la stipula di un contratto di swap […]

Entrambe le metodologie possiedono vizi e virtù. I cash based godono di molta trasparenza: il portafoglio del fondo viene reso pubblico e lo si può facilmente paragonare ai titoli che compongono l’indice. La metodologia swap based invece si usa di solito per indici molto grossi o indici che contengono azioni od obbligazioni illiquide, per i quali la replica completa sarebbe troppo costosa. Allo stesso modo è solitamente utilizzata per seguire un indice che si basa esclusivamente sui future, come quelli sulle commodity. Insomma, non è possibile porre le due metodologie su una scala di valori con la presunzione di definire una migliore dell’altra. Gli stessi emittenti si muovono seguendo la bussola della logica: “Se è possibile replicare con un sottostante fisico lo facciamo”, spiega a EtfNews Emanuele Bellingeri, responsabile vendite per l’Italia di iShares, emittente che possiede entrambe le tipologie di tracker e che ha recentemente lanciato una campagna di education sul mondo degli Etf. Semplicemente quindi una struttura è più adatta per la costruzione di alcuni tipi di strumenti, la seconda per altri. Prova ne è che fino a oggi le diversità strutturali hanno lasciato pressoché indifferenti gli investitori. Ora però qualcosa potrebbe cambiare. “Gli investitori istituzionali non vogliono prendere posizione su Etf che usano derivati – spiega ancora Bellingeri – perché gli istituzionali hanno già strutturati in carico e gli Etf  swap based possono nascondere un rischio controparte, rischio che è limitato al 10% del valore investito, in quanto per la normativa Ucits III l’esposizione in derivati non può essere superiore”. La crisi del credito dunque, teoricamente, si fa sentire per via indiretta anche sugli Etf. Ma allora anche un piccolo investitore, nello specifico italiano, corre dei rischi, specie ora che uno dei maggiori emittenti di swap, Lehman Brothers, è entrato in fallimento? “Ogni gruppo con Etf quotati in Italia utilizza la sua investment bank come controparte per gli swap oppure, come nel nostro caso una banca terza di elevatissimo affidamento”, risponde Bellingeri, escludendo quindi motivi di preoccupazione per gli investitori nostrani. “Mi preme comunque sottolineare – prosegue – come gli ETF di iShares siano per la maggior parte costruiti tramite sottostante fisico e laddove utilizzino swap viene indicato chiaramente nella denominazione del comparto. La trasparenza, infatti, deve essere sempre un must quando si parla di ETF ” […]

 

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