Esposizione ai Faang manda di nuovo in tilt Wall Street, Powell-put è ancora lontana
“Siamo ancora lontani da tassi neutrali”. Queste parole di Jerome Powell risalgono al 3 ottobre e probabilmente sono state la premessa per la correzione che sta caratterizzando Wall Street. Ieri è andato in scena un nuovo sell-off della maggiore Borsa mondiale con lo S&P 500 che da inizio mese ha perso oltre l’8% ed è ora il saldo annuo risulta in territorio negativo. Peggio sta facendo il Nasdaq (-4,43% la chiusura di ieri) con un tonfo superiore al 10% rispetto ai picchi di periodo che segna quindi l’ingresso in territorio di correzione. Il tutto condito da un aumento consistente della volatilità con VIX schizzato sopra 25, a ridosso dei picchi toccati due settimane fa.
Il timore di un picco ciclico dei profitti aziendali ha pesato ieri sui listini Usa, con il Nasdaq sceso al ritmo più rapido da 7 anni. “Le vendite si sono concentrate soprattutto sui titoli tecnologici, delle telecomunicazioni, energetici ed industriali. A mercati chiusi sono uscite indicazioni miste con Microsoft e Tesla in rialzo, a fronte del crollo di AMD”, rimarcano gli esperti di MPS Capital Services.
Amazon e le altre sotto il fuoco delle vendite
Epicentro della crisi di Wall Street in queste settimane sono i tecnologici, a differenza di quanto successo lo scorso febbraio. Questa volta gli invertitori stanno vendendo i titoli che hanno corso di più in questi anni, in particolar modo quelli del settore tech, i celebri “Faang” (Facebook, Amazon, Apple, Netflix, Google). Da inizio mese Amazon ha perso il 17%, Netflix il 19%, Google il 12% e Facebook l’11%. Unica a contenere i clai è stata la “regina” Apple con un limitato -4,7%.
Apple, Amazon, Alphabet (azioni classe A e C) e Facebook da sole pesano per il 12% circa sull’intero S&P 500; Gli stessi 4 colossi hi-tech pesano addirittura per oltre il 40% sul NASDAQ 100 con la forte ascesa a livelli record della loro capitalizzazione degli ultimi anni che ha comportato un aumento considerevole del loro peso all’interno dell’indice tecnologico.
L’eco dei ripetuti attacchi di Trump alla Fed si sente ancora a Wall Street con gli operatori che probabilmente aspetteranno al varco Jerome Powell che vedere il suo grado di apertura a un atteggiamento più accomodante davanti a mercati nervosi. “Manca, come due settimane fa, un fattore scatenante evidente, se non un vago disagio per una percepita determinazione della Fed a continuare la normalizzazione dei tassi verso livelli di neutralità che si sospetta possono essere più elevati di quanto ipotizzato fino a qualche tempo fa”, rimarca Alessandro Balsotti, Strategist e Gestore del JCI FX Macro Fund.
Cosa potrebbe far cambiare atteggiamento a Fed?
Per la prima volta dalla crisi Lehman, alla Fed starebbe bene se i mercati finanziari si raffreddassero. Dai verbali della riunione del Fomc del 25-26 settembre emerge che diversi policymaker vedono il rischio di “significativi squilibri finanziari”. Bisognerà ora vedere se quanto successo in questo mese farà cambiare atteggiamento a Powell che sembra decisamente meno propenso a seguire le orme di Bernanke e Yellen che nel corso dei loro mandati si sono mostrati molto attenti a calibrare l’impronta di politica monetaria con l’umore dei mercati in modo da “contrastare” movimenti avversi dei mercati.
Un fattore in grado di riportare in tempi brevi un clima più respirabile sui mercati azionari è sicuramente la Fed. “Non credo però lo faranno o, quantomeno, non subito e a questi livelli”, argomenta Balsotti.
Affinché la Fed reagisca alla debolezza dei mercati, ci dovrebbe essere una “correzione significativa e correzione duratura”, ha detto Powell alla conferenza stampa del 26 settembre in seguito all’ultimo aumento dei tassi della Fed. Quindi per innescare una “Powell-put” non sarebbe sufficiente un sell-off simile a quello che seguì il picco del mercato azionario alla fine di gennaio (calo del 13% nell’indice S&P 500 a cui fece seguito un pronto rimbalzo delle azioni tornate ai massimi storici in otto mesi).