Dati macro confermano frenata Eurozona. Euro a minimi in due mesi: Bce frenerà tapering QE?

L’euro scivola al minimo degli ultimi due mesi, dopo la carrellata di dati macro arrivata dall’Eurozona, e alla vigilia della riunione del Consiglio direttivo della Bce di Mario Draghi.
Nel bel mezzo dei problemi che rendono più incerto il futuro dell’Italia, i dati diffusi nella sessione odierna hanno confermato che, all’inizio del quarto trimestre, la crescita economica dell’area euro è scivolata al minimo in più di due anni. Motivo: la preoccupazione delle aziende manifatturiere sull’escalation della guerra commerciale.
I dati deludenti sono tutti riassunti nell’indice PMI Composite stilato da IHS Markit, che a ottobre è sceso dai 54,1 punti di settembre a 52,7. Il trend è stato peggiore di quanto atteso dagli economisti interpellati da Bloomberg, sebbene abbia confermato ancora una crescita del Pil, su base trimestrale, dello 0,3%.
Ad affossare la performance, è stato il settore manifatturiero, che ha assistito alla crescita della produzione più debole dal dicembre del 2014. Ma i dati snocciolati dai vari paesi fanno più paura, se si considera che proprio in Germania, il motore dell’economia del blocco, il Pmi composite – che include non solo la componente manifatturiera, ma anche quella dei servizi – è sceso al valore più basso in più di tre anni.
E’ stato il diffondersi di questi dati macro a far capitolare l’euro, e a farlo precipitare al minimo in due mesi. La moneta unica ha bucato anche la soglia di $1,14, capitolando durante la sessione dello 0,6%, a $1,1397. L’euro ha ceduto anche nei confronti del franco svizzero a 1,1369, al minimo delle ultime due settimane.
Il motivo della flessione dell’euro non è solo nei dati macro, ma nell’influenza che essi avranno nelle decisioni della Bce. Intervistato da Bloomberg Chris Williamson, economista presso IHS Markit, ha affermato che gli indicatori metteranno in una posizione scomoda la Bce:
“Il Pmi è sceso a un livello che, storicamente, sarebbe coerente con una politica monetaria accomodante”.
Per Williamson, tra l’altro, l’indebolimento si sta ampliando e la minaccia di una guerra commerciale “ha offuscato il quadro economico globale e ha scatenato una maggiore avversione al rischio“. Senza considerare il fatto che, stando sempre ai dati del Pmi, le aspettative sulla crescita futura sono scivolate al valore più basso in quasi quattro anni, testando il minimo record in quasi sei anni nel comparto manifatturiero.
Così Barclays commenta il trend dell’indice Pmi Composite su base preliminare, ricordando che i 52,7 punti sono inferiori sia alle attese del consensus (53,9), che a quelle specifiche della sua divisione di ricerca (53,8).
Gli analisti sottolineano che il dato è sceso appunto di 1,5 punti su base mensile, al minimo in 25 mesi e “al di sotto della media di lungo termine, sebbene ancora in fase di espansione”.
A rallentare sono stati “anche la crescita dei nuovi ordinativi e il ritmo delle assunzioni, nonostante i valori siano rimasti al di sopra dei trend di lungo periodo. Sul futuro, il sentiment rimane ottimista, anche se in misura inferiore che in precedenza. In generale, le pressioni inflazionistiche sono rimaste elevate, specialmente sul lato degli input – riflettendo salari e costi energetici più elevati – , consolidandosi sul lato dei consumatori”.
Dati macro deludenti. Draghi cambia idea su QE?
Il punto è che la performance del dato avalla un outlook di crescita del Pil pari a +0,3% su base trimestrale, “al di sotto del nostro scenario di base, che è per una espansione dello 0,4% per il quarto trimestre del 2018. E ciò indica che i rischi sono al ribasso“.
Barclays parla per la precisione di “gravi rischi al ribasso sul nostro scenario, che provengono soprattutto dal fronte esterno, come le tensioni commerciali, ma anche dal rialzo dei prezzi del petrolio. I rischi politici, principalmente dell’Italia e quelli che si sono riaffacciati dal fronte Brexit, sono anch’essi pronunciati, a nostro avviso”.
La domanda a questo punto è: con l’Italia in rotta di collisione con la Commissione europea sulla manovra economica, e in un contesto in cui i dati macro certificano la fase di rallentamento, la Bce continuerà ad andare avanti con il tapering del suo Quantitative easing, fino a troncare il bazooka monetario a fine anno, come confermato da Draghi & Co?
Gli ultimi dati sull’inflazione sembrano aver in parte smentito la fiducia della Bce in una ripresa vigorosa del trend dei prezzi in Eurozona.
Nel suo intervento, lo scorso mese, al Parlamento europeo, Draghi aveva parlato di “una ripresa dell’inflazione relativamente vigorosa”, sottolineando come, “riflettendo tali dinamiche, la Bce prevedesse una inflazione core – escluse le componenti alimentare ed energetica – all’1,8% nel 2020”.
Ma gli ultimi dati macro hanno messo in evidenza che il tasso di inflazione è rimasto stabile al 2,1% su base annua, nel mese di settembre, a fronte di una inflazione core in rialzo dello 0,9%, in rallentamento rispetto al +1,2% di agosto, e pari praticamente alla metà di quella che Draghi prevede per il 2020.