Notizie Notizie Mondo Emorragia globale da debiti sovrani e corporate bond: in attesa della Fed mai così male dalla crisi del 2008

Emorragia globale da debiti sovrani e corporate bond: in attesa della Fed mai così male dalla crisi del 2008

Pubblicato 14 Marzo 2022 Aggiornato 15 Marzo 2022 08:47

Paura inflazione in tutto il mondo: a pochi giorni dal verdetto della Fed di Jerome Powell, il mercato globale dei bond lancia l’alert al ritmo più forte dai tristi tempi della crisi finanziaria del 2008.
Numeri alla mano: il Bloomberg Global Aggregate Index, indice benchmark che monitora il trend dei debiti sovrani e delle obbligazioni societarie, viaggia a un valore inferiore di circa il 9,9% dal record testato nel 2021.

Le vendite che si sono abbattute sul mercato del reddito fisso riflettono le pressioni inflazionistiche, che avevano accelerato già il passo con il reopening dell’economia mondiale post Covid, e che si sono ulteriormente intensificate con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.

Fed verso primo rialzo tassi da 2018 in tempi di guerra Russia-Ucraina

L’attacco di Vladimir Putin ha portato l’Occidente a imporre sanzioni pesanti contro la Russia, grande produttore ed esportatore di commodities, facendo scattare così il timore di un’offerta di materie prime più bassa.

I mercati hanno scontato un tale scenario, con i prezzi del petrolio, del gas naturale e di altre commodities che sono schizzati immediatamente verso l’alto.

E’ in questo contesto di forti tensioni geopolitiche e di marcata volatilità sui mercati che, per la prima volta dal 2018, la Federal Reserve si appresta ad alzare i tassi sui fed funds per la prima volta dal 2018:

il Fomc, il braccio di politica monetaria della Fed, si riunirà domani, martedì 15 marzo, per emettere il verdetto dopodomani, mercoledì 16 marzo.

Alle prese con un tasso di inflazione che, negli Stati Uniti, viaggia al valore più alto degli ultimi 40 anni – come confermato dall’indice dei prezzi al consumo – la Fed si prepara a un ciclo di strette monetarie che i bond stanno pagando a caro prezzo.

E che si tratti di bond sovrani o di corporate bond, al momento ci sono davvero poche obbligazioni che possano soddisfare gli investitori che di norma puntano sul reddito fisso. Come hanno commentato gli analisti di Morgan Stanley in una nota pubblicata nella giornata di sabato e riportata da Bloomberg, “la performance dei bond safe haven è stata deludente. Visto che le banche centrali – perfino la Bce, ora – sono diventate più hawkish in risposta all’inflazione più alta, non crediamo che titoli di stato riusciranno, per ora, a performare molto bene in qualità di asset rifugio”.

Una prova arriva sicuramente dai tassi dei Treasuries, ovvero dei titoli di stato Usa, con quelli decennali che sono balzati stamattina al record dal luglio del 2019, volando di 7 punti base, fino al 2,08%.

In crescita anche i rendimenti trentennali, che sono saliti anch’essi di 7 punti base, al 2,438%, mentre i tassi dei Treasuries a due anni sono cresciuti all’1,83%, al valore più alto in due anni e mezzo.

Sia la Fed che anche la Bce sono ormai pronte ad abbandonare quelle misure di politica monetaria accomodante che hanno sorretto sia i mercati azionari che quelli dei bond per diversi anni, e sicuramente dall’inizio della pandemia Covid-19 nel marzo del 2020.

Intervistato dalla Cnbc Bob Parker, esponente della Commissione di investimenti di Quilvest Wealth Management, ha riferito che le banche centrali si trovano ormai costrette a “mettere un freno alle aspettative sulla crescita dell’inflazione”.

“Credo che, nel breve termine, i banchieri centrali non abbiano altra scelta che lanciare manovre restrittive. E per breve termine intendo l’arco temporale compreso tra ora e la fine del terzo trimestre. Detto questo, si tratta di un problema rilevante, visto che l’economia globale sta iniziando a rallentare il passo”, ha continuato Parker, sottolineando che non sarebbe sorpreso se la Fed tagliasse le stime sull crescita economica degli Stati Uniti fino al 2%.

Mercato reddito fisso: c’è chi parla di mini mercato orso

Un articolo di Bloomberg fa notare che, se per l’azionario esistono fasi di correzione, di mercato toro, e mercato orso, per il mercato obbligazionario definizioni del genere mancano.

Qualche strategist prova comunque a classificare la fase in atto: è il caso di Kathy Jones, responsabile strategist della divisione di reddito fisso di Charles Schwab, che ha riferito di recente a Bloomberg Television che è possibile che il mercato versi in una condizione di “mini” mercato orso, ovvero di “mini” bear market. “Quando la flessione è pari al 5%, probabilmente siamo in presenza di un mercato obbligazionario in fase orso”.

I mercati scommettono su un primo rialzo dei tassi da parte della Fed, nella giornata di mercoledì 16 marzo, di un quarto di punto percentuale, dal range attuale attorno allo zero.

Intervistato dalla Cnbc, Mark Cabana, responsabile strategist della divisione dei tassi di breve termine di Bank of America, ha fatto notare che la Fed di Jerome Powell dovrà anche affrontare la questione del Quantitative Tightening, ovvero annunciare quali mosse deciderà di adottare riguardo al maxi bilancio ingolfato di asset acquistati con il QE, del valore astronomico di 9 trilioni di dollari.

Cabana ha dichiarato che, in base al suo scenario di base, il QT dovrebbe essere lanciato nel mese di maggio. Tuttavia, con le nuove sfide che l’economia globale deve fronteggiare, conseguenze della guerra tra la Russia e l’Ucraina in primis, “ammettiamo che esiste il rischio che il QT venga lanciato più tardi”.

Di fatto, secondo Cabana, anche se alzerà i tassi, la Fed non riuscirà ad alzarli come probabilmente vorrebbe, a causa delle nuove incognite legate allo sviluppo del conflitto in Ucraina e all’inevitabile indebolimento dei fondamentali economici.

Lo strategist prevede cinque rialzi dei tassi da parte della Fed nel 2022, seguiti da altri quattro nel 2023.