Notizie Notizie Mondo Allarme Covid in Cina a record da 2020, Shenzhen in lockdown. C’è anche spettro delisting, Borsa Hong Kong -5%

Allarme Covid in Cina a record da 2020, Shenzhen in lockdown. C’è anche spettro delisting, Borsa Hong Kong -5%

14 Marzo 2022 11:16

Panic selling a Hong Kong, con l’indice Hang Seng che crolla fin oltre il 5% dopo la notizia dei lockdown imposto alla città di Shenzhen, centro nevralgico della finanza, del commercio e dell’hi-tech made in China, e per l’intensificarsi dei timori sulle tensioni tra gli Stati Uniti e la Cina: non solo per la posizione che il governo di Pechino deciderà di adottare nei confronti della Russia di Vladimir Putin, isolata dal mondo occidentale per l’invasione dell’Ucraina, ma anche per lo schiaffo che la Sec, autorità di Borsa Usa, ha sferrato contro alcune società cinesi quotate sul Nyse.

In Cina boom nuovi casi Covid a record da shock Wuhan nel 2020. Shenzhen in lockdownSi tratta di BeiGene, Zai Lab, ACM Research, Yum China, HutchMed.

La doccia fredda è arrivata venerdì scorso, quando la Securities and Exchange Commission ha avvertito che procederà al delisting dei cinque titoli da Wall Street, a meno che le relative società non consentiranno alle autorità americane di visionare documenti dettagliati di revisione contabile che avallino i loro report di bilancio.

Ed è solo l’inizio, visto che i cinque gruppi sono solo i primi di una lista di 270 società cinesi quotate sul Nyse e sul Nasdaq che rischiano il delisting.

I titoli hi-tech scambiati sulla borsa di Hong Kong, già crollati lo scorso venerdì, sono capitolati di nuovo nella sessione odierna, con il sottoindice Hang Seng Tech Index dei titoli tecnologici che ha sofferto un tonfo di oltre l’8%, dopo che il Golden Dragon Index, indice che replica le ADR delle società cinesi, era scivolato del 10% la scorsa settimana per due sedute consecutive, per la prima volta nei suoi 22 anni di storia.

Focus anche sul caso Didi, la cui Ipo a Hong Kong sarebbe stata bloccata, in quanto l’Uber cinese non sarebbe riuscita a centrare i requisiti imposti dall’autorità cinese responsabile della sicurezza cibernetica.

Ma iniziamo con il lockdown imposto alla città di Shenzhen, nella Cina continentale, e anche di altre.

Lockdown a Shenzhen, cuore dell’hi-tech cinese

Le restrizioni sono state imposte a causa del boom di nuovi casi da Covid, che sta interessando in generale tutta la Cina continentale, dopo l’impennata che ha colpito Hong Kong.

Ora anche la Cina continentale è alle prese con una nuova violenta ondata di Covid, vittima della veloce diffusione della variante Omicron. Tanto che, in tutto il paese, il numero di nuovi casi è balzato sabato scorso a 3.122 unità, rispetto ai poco più di 300 nuovi casi giornalieri riscontrati in media nella settimana precedente, e al record dai tempi dei contagi che colpirono la città di Wuhan all’inizio del 2020.

La Cina continentale era riuscita a proteggersi, ligia a quella politica di tolleranza zero nei confronti del virus, basata su misure rigide di restrizioni – come lockdown totali – e sull’obbligo imposto ai cittadini di sottoporsi ai cosiddetti tamponi di massa.

Le precauzioni della Zero Covid policy cinese – imposte di recente anche alle autorità di Hong Kong -non sono tuttavia bastate a fermare la corsa della variante Omicron. Così come non è stato sufficiente mantenere i confini di Hong Kong chiusi alla Cina continentale.

A Hong Kong la situazione è ancora più disperata, con nuovi casi giornalieri che hanno superato quota 32.000.

La città stato è stata costretta di conseguenza a mettere in isolamento più di 300.000 residenti, come ha annunciato nella giornata di ieri, in una situazione che si fa sempre più difficile da gestire: negli ospedali, dall’inizio del 2022, sono state ricoverate quasi 700.000 persone con casi accertati di coronavirus.

Nell’ultima settimana, Hong Kong ha assistito a una media di più di 270 morti e di 24.242 nuovi casi al giorno, stando ai dati del Center for Systems Science e Engineering della Johns Hopkins University.

Nella Cina continentale, a essere travolta dal boom di infezioni è stata Shenzhen, città tra le principali del paese che conta 17,5 milioni di persone. Shenzhen è stata costretta a imporre il lockdown, cercando di premunirsi contro i contagi della vicina Hong Kong.

Le autorità hanno stabilito anche, in ottemperanza alla politica di tolleranza zero nei confronti del Covid, che ogni cittadino di Shenzhen dovrà sottoporsi a tre round di test Covid-19 dopo che, nella giornata di domenica, sono stati rinvenuti 66 nuovi casi, portando il totale delle infezioni nella città a più di 400 dalla fine di febbraio.

Per Shenzhen, il lockdown durerà almeno una settimana, fino ad almeno il prossimo 20 marzo, accompagnato da misure come la sospensione dei servizi del trasporto pubblico. Sospese le tratte degli autobus e chiuse le metropolitane della città.

Shenzen, Foxconn chiude sito produzione iPhone

Il panico della borsa di Hong Kong si spiega con il timore di quelle che saranno le ripercussioni dei lockdown sull’economia cinese.

Già Foxconn, colosso fornitore di Apple, è stato costretto a chiudere temporaneamente di due dei suoi principali siti di produzione situati a Shenzhen, comunicando di essere in attesa delle disposizioni delle autorità locali per capire quando potrà tornare a riaprire le fabbriche.

La società taiwainese nota anche con il nome Hon Hai Precision Industry, ha commentato la situazione al magazine Fortune:

“Abbiamo apportato aggiustamenti alla nostra linea di produzione per minimizzare l’impatto potenziale” dei lockdown di Shenzhen, spostando l’attenzione “ad altri siti produttivi situati in diverse aree della Cina”.

Peccato che tra le attività interrotte, ci siano anche quelle di una fabbrica che produce iPhone.

Il problema va al di là del caso Foxconn.

Shenzhen è anche la città che ospita i quartieri generali di colossi del calibro di Tencent Holdings Ltd. e Huawei Technologies, così come di importanti istituzioni finanziare, come Ping An Insurance Group Co. e China Merchants Bank Co. Diverse banche straniere come UBS e HSBC hanno filiali nella città.

Lockdown anche a Jilin, prima volta da isolamento Wuhan

L’isolamento è stato deciso anche per la città di Jilin, per la prima volta dai tempi drammatici del lockdown di Wuhan, nella provincia di Hubei, imposto nel 2020.

Jilin – che si trova nell’area industriale di Changchun, nel del nord-est della Cina, conta circa 9 milioni di persone e nel 2020 ha inciso sulla produzione annuale di auto in Cina per l’11% circa.

La città ha imposto un lockdown parziale sabato scorso, mentre ai residenti di Yanji, area urbana di quasi 700.000 residenti al confine con la Corea del Nord, è stato ordinato di rimare a casa nella giornata di domenica.

Sedici in tutto le province della Cina continentale interessate dal balzo delle infezioni e quattro le principali città colpite: Pechino, Tianjin, Shanghai e Chongqing.

E il timore è che altre città possano seguire l’esempio di Shenzhen e di Jilin.

“Molte città potrebbero decidere di seguire l’esempio di Shenzen – ha commentato in una nota riportata da Bloomberg Raymond Yeung, capo economista della divisione Greater China presso ANZ, facendo riferimento anche alla decisione delle autorità di impedire ai residenti di entrare o di lasciare la città – E se il lockdown venisse esteso, la crescita economica della Cina potrebbe essere colpita in modo significativo“.

Yeung e ANZ non hanno ancora tagliato le stime sulla crescita del Pil cinese prevista per quest’anno. Tuttavia, l’atteggiamento è di cautela, considerato il rischio che vengano imposte nuove restrizioni.

Per ora ANZ prevede un’espansione del prodotto interno lordo cinese, nel 2022, pari a +5%, a un ritmo inferiore rispetto al target del governo di Pechino, che punta a una crescuta del 5,5% circa.

Si esprime sulle ripercussioni economiche delle misure di restrizione lanciate per contenere il Covid anche Nomura Holdings che, interpellata da Bloomberg, ha riferito che i costi economici della politica del Covid Zero sono elevati e che è possibile che gli operatori di mercato abbiano un outlook fin troppo positivo sulla crescita del Pil cinese di quest’anno: la banca giapponese prevede per il Pil una espansione del 4,3%, ben inferiore a quella del consensus degli economisti, pari a una crescita del 5,2%.