Notizie USA Elezioni Usa alle porte: Wall Street alla finestra, tra politiche Harris e la “Maganomics” di Trump

Elezioni Usa alle porte: Wall Street alla finestra, tra politiche Harris e la “Maganomics” di Trump

24 Ottobre 2024 16:16

Mancano meno di due settimane al fatidico 5 novembre, giorno in cui si terranno le elezioni presidenziali negli Stati Uniti, e tutti i sondaggi, anche alla luce dei precedenti di 2020 e 2016, segnalano che la sfida tra la candidata dei Democratici Kamala Harris e il candidato dei Repubblicani Donald Trump sarà deciso sul filo del rasoio. Negli ultimi giorni le percentuali sembrerebbero favorire Trump, ma si tratta di leadership minime e sempre inferiori al margine di errore dei sondaggi. Per dare un’idea di quanto sia tesa la corsa, si può osservare lo stato della Pennsylvania, il principale tra i 6 “swing states” di quest’anno, in cui, secondo RealClearPolitics, l’ex presidente sarebbe avanti, facendo una media di sondaggi, di appena uno 0,5 per cento. Tutto è possibile.

Una corsa così incerta dovrebbe rappresentare sulla carta un fattore di volatilità per gli investitori di Wall Street, essendo i due pretendenti alla Casa Bianca fautori di politiche economiche estremamente differenti, tuttavia il mercato non appare particolarmente turbato.

Il mercato per ora vola e tende ad andare bene negli anni elettorali

Al contrario, osservando le performance dell’azionario, Wall Street sembra voler proseguire senza indugio il suo clamoroso rally. L’indice S&P 500 è cresciuto di oltre il 20% quest’anno, toccando 47 volte il suo record assoluto nel 2024, secondo quanto riportato da Bloomberg. Sempre quest’anno il Nasdaq è inoltre cresciuto del 23%, mentre il Dow Jones ha registrato un aumento del 14 per cento.

Storicamente, gli anni elettorali sono positivi per il mercato. Lo S&P 500 per esempio ha registrato guadagni in ogni anno elettorale dal 1960, ad eccezione di 2000 e 2008, caratterizzati dall’esplosione della bolla dot-com e dalla crisi finanziaria dopo il collasso del mercato dei mutui subprime.

La “Maganomics” di Trump: dazi, sgravi fiscali e deregulation

Il programma economico dell’ex presidente “appare come una versione extra-large di quello con cui si presentò alla corsa presidenziale del 2017”, scrive in un report Giorgio Broggi, Quantitative Analyst di Moneyfarm. Dal punto di vista commerciale Trump ha reiterato il suo intento protezionistico: dazi del 10% su tutte le importazioni, con punto del 20% o del 60% nel caso di import dalla Cina. Per il settore automobilistico potrebbero esserci dazi anche del 100 per cento. Trump ha anche parlato di “tariffe punitive” per i paesi che proveranno ad abbandonare il dollaro come valuta di riserva.

Dal punto di vista fiscale il tycoon newyorkese ha detto di voler abbassare l’aliquota per le imprese al 15%, dall’attuale 21%, purché la produzione sia localizzata negli Stati Uniti. Si tratterebbe di un taglio di tasse senza precedenti, che includerebbe anche il rinnovo degli sgravi generalizzati introdotti nel 2017 e in scadenza l’anno prossimo. Trump vorrebbe rinnovarli per intero, eliminando anche tasse su straordinari, sussidi e mance (il famoso “no tax on tips”).

Una presidenza Trump vedrebbe anche un ammorbidimento delle regolamentazioni per le aziende. Questo, insieme agli sgravi fiscali, potrebbe tradursi in un forte aumento di profitti e una contestuale ottima performance azionaria, in particolare nei settori dell’energia dell’intelligenza artificiale.

“Le tasse hanno delle conseguenze”, ha detto ad ABC News Peter Morici, professore emerito della University of Maryland School of Business. “L’amministrazione Trump sarà come un tappo che salta”.

Allo stesso tempo  le società dei settori delle energie rinnovabili, che hanno beneficiato di crediti d’imposta al consumo dell’Inflation Reduction Act del governo del presidente Joe Biden, potrebbero trovarsi in difficoltà.

Inoltre, se ci saranno guerre commerciali con Cina e altri paesi, è opinione diffusa tra gli economisti che questo si rifletterà in un aumento di prezzi per i consumatori e quindi in un elemento inflazionario, una minaccia in ultima analisi anche per la performance del mercato.

Politiche di Harris: più tasse e regole ma bene per energia green e costruttori

Kamala Harris dal canto suo ha detto di voler spingere per aumentare le tasse sulle imprese al 28%  e di aumentare le aliquote per gli individui che guadagnano oltre i 400.000 dollari. E’ inoltre prevedibile che un’amministrazione Harris proseguirà una politica di incentivi verso le energie rinnovabili e adotterà politiche di maggior regolamentazione per le imprese.  Dal punto di vista commerciale inoltre la sua posizione appare più morbida nei confronti della Cina, riducendo quindi il rischio di una battaglia dei dazi.

Performance di aziende produttrici di veicoli elettrici, batterie, centri di ricarica, eccetera, beneficerebbero maggiormente di un governo Harris. Anche il settore delle costruzioni avrebbe probabilmente un beneficio da Harris, che ha parlato di politiche di sostegno diretto a chi compra casa per la prima volta.

Il settore finanziario sarebbe sicuramente più sull’attenti, visto che un’amministrazione Harris sarebbe più restrittiva sulle regolamentazioni delle banche.

La politica fa davvero la differenza per Wall Street?

Non è detto che in un ultima analisi queste considerazioni abbiano l’impatto che si pensa. Gli investitori tendono ad essere realisti e ad evitare slanci politici. Infatti investire secondo le proprie convinzioni politiche potrebbe essere il modo migliore per perdere soldi. “Si è parlato tanto di quale partito sia meglio nelle conversazioni con i nostri clienti, in questo momento di iper-polarizzazione della politica americana”, ha detto a Barron’s Brian Belski, Capital Markets Strategist di BMO, tuttavia “abbiamo visto che negli anni il mercato americano tende salire sia che alla Casa Bianca ci sia un Repubblicano che un Democratico”.

Il risultato delle elezioni potrebbe non arrivare per diversi giorni

L’elezione del presidente degli Stati Uniti non avviene a maggioranza assoluta con il voto popolare, ma con il meccanismo del cosiddetto “electoral college”, in cui ad ognuno dei 50 stati è attribuito un certo peso elettorale in base alla popolazione. Alcuni stati come New York o California sono quasi certamente blu (democratici), mentre altri come Texas o Missouri sono senza dubbio rossi (repubblicani). Questo fa sì che l’elezione si decida in alcuni “swing state”, in cui l’elettorato è diviso circa al 50 per cento tra democratici e repubblicani. In questa elezioni gli stati da tenere d’occhio sono 6: Arizona, Nevada, Michigan, Wisconsin, North Carolina e soprattutto Pennsylvania, fondamentale perché tra questi il più popoloso.

I singoli stati hanno anche una certa discrezionalità nei meccanismi di voto e di spoglio. Anche questo contribuisce alla possibilità che l’esito non sia noto la notte del 5 novembre: potrebbe essere necessario lo spoglio fino all’ultimo voto, senza parlare di possibile richieste di nuovi conteggi. Tutto ciò avrà un impatto sulla volatilità del mercato. Si ricordi che nella famosa elezione del 2000, che portò George W.Bush alla Casa Bianca, ci fu un riconteggio in Florida e lo S&P 500 perse oltre il 4 per cento.

Non sono nemmeno da esclude gli scenari peggiori di una elezione contestata che sfoci anche in violenza politica, il che avrebbe ragionevolmente un impatto decisamente negativo anche sui mercati.