Edwards (SocGen): L’Italia e la camicia di forza fiscale. Saranno i giovani a farvi uscire dall’euro’
Una camicia di forza fiscale. Non c’è forse migliore espressione di questa, che sia capace di esprimere la più grande paura che gli italiani hanno verso l’austerity Ue, sperimentata ai tempi del governo Monti. A coniarla è Albert Edwards, strategist di Société Générale, che in una nota si riferisce all’alta tensione sulla manovra del governo M5S-Lega che è esplosa tra Roma e Bruxelles.
Oggi, in occasione della riunione straordinaria dell’ Eurogruppo, che sarà dedicata principalmente all’Unione monetaria, il ministro dell’economia Giovanni Tria tenterà di nuovo di convincere Bruxelles e gli stati membri dell’Eurozona che la legge di bilancio non è quella pillola amara che l’Europa non ci pensa proprio a ingurgitare.
Stando però alle recenti dichiarazioni, anche piuttosto aggressive, arrivate da paesi come l’Austria, è improbabile che i vari Juncker-Moscovici-Dombrovskis cambino idea.
D’altronde, quella manovra vista come il male assoluto non è solo una pillola amara che nessuno vuole ingoiare: è anche una pillola che l’Italia, secondo i critici, sta più o meno deliberatamente indorando (vedi previsioni troppo ottimistiche, a loro avviso, sulla crescita del Pil).
Albert Edwards sembra capire bene l’intenzione dell’Italia ad andare avanti con la sua manovra, nel momento in cui paragona le regole di bilancio che l’Unione europea ha imposto al paese a una vera e propria camicia di forza.
Il tutto si spiega, secondo l’esperto, con l’austerità che l’Ue impone all’Italia: una camicia di forza fiscale, per l’esattezza, che il governo italiano è stato costretto a indossare nel corso dell’ultimo decennio, e che è diventata intollerabile per l’elettorato italiano.
“La ribellione (degli italiani) era solo una questione di tempo e, per dirla tutta, sono sorpreso che ci abbiano messo così tanto, prima di scontrarsi con Bruxelles”.
Mentre Edwards dà una spiegazione anche sociologica al caso Italia, l’FT rilancia in queste ore il pericolo contagio del paese.
“Finora – si legge nell’articolo – ci sono stati piccoli segnali di contagio. Nei cinque mesi dall’inizio del sell-off, per esempio, i tassi decennali spagnoli sono saliti di 34 punti base all’1,64% e quelli portoghesi di 38 punti base all’1,96%. Numeri che impallidiscono, se si considera l’aumento dei tassi italiani: a un certo punto, i rendimenti decennali sono balzati al 3,67% (fino a +196 punti base nell’arco temporale considerato), al record in più di quattro anni, sebbene da allora siano scesi al 3,5% circa”.
“Ora – sottolinea l’FT – il fatto che l’effetto domino sembra non sia stato ancora attivato sorprende diversi osservatori di mercato, che ricordano gli effetti che la crisi greca del 2010 ebbe sui tassi dei bond nei paesi periferici”.
“Ma – si chiede il quotidiano britannico – fino a quando questa situazione potrà andare ancora avanti? L’Italia, terza economia dell’Eurozona e numero uno nell’emissione del debito sovrano, rappresenta un problema sistemico molto più di quanto lo fosse la Grecia. E un qualsiasi scontro tra Roma e le autorità di Bruxelles potrebbe avere gravi implicazioni“.
Secondo Andrea Iannelli, direttore degli investimenti presso Fidelity International, l’effetto domino è inevitabile:
“Altre classi di asset europee saranno colpite, se i tassi italiani continueranno a salire”, ha detto, intervistato dal Financial Times.
D’altronde, la paura ora è per downgrade sul debito italiano che potrebbero arrivare dalle agenzie di rating all’inizio del 2019, ma non solo. Una Bruxelles sempre più irritata potrebbe tentare di costringere Roma a tagliare i piani di spesa e, allo stesso tempo, ci potrebbe essere un boom di popolarità dei partiti populisti nelle elezioni europee previste a maggio”.
Secondo Ianelli, un downgrade sul debito “avrebbe (per esempio) un effetto sismico sia sui mercati dei bond che sull’economia europea”.
Anche l’euro una camicia di forza
Tornando a Edwards, lo strategist parla in realtà di camicia di forza non solo in merito alle regole fiscali imposte dall’Unione europea ma riferendosi alla stessa esistenza dell’euro.
Detto questo, poi, a suo avviso, i problemi dell’Italia hanno poco a fare con l’euro, anzi nulla, visto che sorgono, piuttosto, dal peccato originale della “produttività moribonda” del paese. Ciò che ha fatto la doppia-camicia di forza è stato far emergere “questi problemi cronici di competitività”.
“Nessuno di questi problemi è nuovo”, ha detto lo strategistò.
Allo stesso tempo, è vero anche che “l’economia italiana è riuscita a tenere il passo con i principali paesi avanzati, felicemente, per tutti gli anni ’70,’80 e ’90“. E che è stato solo con la crisi dell’Eurozona del 2011 che il PIl italiano ha iniziato a fare peggio rispetto a quello della Germania”.
Ma come andrà a finire questo incubo?
Per l’esperto di SocGen, saranno i giovani a decretare la fine dell’Italia nell’Unione europea e anche nell’euro.
“L’Italia lascerà l’Eurozona nel corso della prossima crisi economica, che porterà il tasso di disoccupazione giovanile a balzare dal 30% attuale al 50%”. A quel punto, i giovani italiani spingeranno per dire addio anche all’Unione europea (e ciò emerge dagli stessi risultati del sondaggio condotto da Benenson Strategy Group nell’ottobre del 2017).